Palazzo Camozzi, dal conte al sarto
La dimora riapre al pubblico grazie a un artigiano che ci ha fatto il suo atelier
Dopo decenni, Palazzo Camozzi apre al pubblico. Oggi sarà possibile visitare le sale della dimora risorgimentale dove il conte Gabriele Camozzi ospitò, tra gli altri, Mazzini e Garibaldi. Tutti gli affreschi, gli stucchi e le decorazioni sono stati restaurati. Nelle stanze, ora, il sarto Luigi Sofisti, 56 anni, di Ranica, crea i suoi abiti e accessori su misura. Con la riapertura si vuole «riportare alla vita alcune bellezze italiane, dall’arte all’artigianato», dice Sofisti.
La storia riscoperta. È il filo che lega queste sale settecentesche e l’atelier di sartoria che qui ha trovato casa. Siamo a Palazzo Camozzi, tra via Borgo Palazzo e via Camozzi. Oggi, dopo essere stata chiusa per decenni, una parte della dimora protagonista del Risorgimento riapre le porte, con visite guidate dalle 9 alle 17.
In questi locali il conte Gabriele Camozzi ospitò Garibaldi, Mazzini e diversi risorgimentali bergamaschi. C’è la sala della musica, rotonda, con pareti rosse e decorazioni d’oro, un luogo di svago e cultura dove, secondo alcune fonti storiche, nel dicembre del 1858 fu suonato per la prima volta l’Inno di Garibaldi, che poi accompagnò la spedizione dei Mille. C’è la sala della maga, dove una donna velata leggeva i tarocchi. All’ingresso, una sala ha dipinte sulle pareti figure femminili leggere e vaganti.
Tutti gli affreschi, gli stucchi e le decorazioni sono stati restaurati e ora questo spazio ospita l’atelier sartoriale di Luigi Sofisti, 56 anni, di Ranica. Specializzato in abiti, scarpe e cravatte su misura, riscopre antichi materiali e capi d’abbigliamento, come il tabarro, mantello a ruota diffuso soprattutto a Venezia nel 1700. «Venire qui è realizzare un sogno», dice Sofisti. L’idea alla base della riapertura dello spazio è «il tentativo di riportare alla vita alcune bellezze italiane, dall’arte all’artigianato».
L’ala del palazzo, chiamata «Spazio Muse», ospita infatti eventi che fanno dialogare moda, cultura, racconto. Oggi alle 11.30 si inaugura la mostra dei quadri di Giampaolo Mascheretti, artista bergamasco alla prima esposizione pubblica, e di un libro, curato dal giovane scrittore Rumi Nicola Crippa, che raccoglie dieci racconti scritti da dieci autori emergenti, ognuno ispirato da un quadro di Mascheretti.
Sembra che non ci sia molta distanza tra il lavoro di un artista e la scelta di un cliente che si fa confezionare gli abiti su misura. «Bisogna scegliere i materiali, le stoffe, usare la fantasia per creare qualcosa di personale», spiega Sofisti. All’atelier, il sarto prende le misure e aiuta a sviluppare l’abito, appoggiandosi poi, per la realizzazione, agli artigiani italiani che collaborano con lui.
«Al mondo della moda — racconta — mi sono avvicinato quando avevo 14 anni. Ho fatto il «piccolo di bottega» in un negozio che si chiamava Arbiter, a Porta Nuova. Dopo tre anni di pulizie, mi hanno messo alla vendita». Ha lavorato poi per dieci anni per un negozio di Armani, facendo quelli che oggi si chiamerebbero «buyer» e «visual». Andava alle sfilate, sceglieva i capi da comprare e ordinare per i negozi e allestiva la vetrina. «Erano gli anni ‘80, Armani era in forte espansione — continua —. È stata una scuola di vita e di lavoro».
Nell’88 ha aperto un negozio in via XX Settembre, nel cuore della città. Nel 2013 si è dedicato anche a un altro ambito, lontano da sfilate e atelier: la coltivazione dello zafferano a Ranica. Ha lanciato il marchio «ZafRanga», che oggi è ancora attivo. E infine il trasferimento a Palazzo Camozzi. «Guardare un quadro, scegliere il tessuto per un abito, ascoltare una musica, leggere un racconto, ammirare le sale dove passarono Camozzi, Mazzini, Garibaldi — conclude Sofisti —. Lo spazio dell’arte è spazio sospeso. Un mondo dell’attesa dove il tempo si ferma e acquisisce significato».
Lo spazio dell’arte è un mondo dell’attesa, dove il tempo si ferma Luigi Sofisti sarto