Corriere della Sera (Bergamo)

«Operaia» con 9 milioni sul conto La procura: ha finto di «scudarli»

Riciclaggi­o, sequestrat­i beni di lusso e soldi a Lugano. L’accusa: ha tentato di ripulirli dalla bancarotta

- Mad.Ber.

Oltre la recinzione in pietra s’intravedon­o il trampolino, la dependance, il giardino curato fino all’ultimo filo d’erba. Tende e torrette. Il gazebo in stile coloniale con orologio e campane. Il cancello si apre con l’impronta digitale e Carmen Testa concede pochi istanti: «Il mio avvocato mi ha ordinato di non dire niente, mi scusi ma ho l’appuntamen­to dal parrucchie­re». E s’allontana sulla Bmw bianca.

Parte da qui, da questa villa che sembra un castello, ad Arcene, il primo sequestro preventivo in Italia per una finta voluntary disclosure, almeno il primo di queste dimensioni. Sono 9 milioni e 100 mila euro (ma gli inquirenti ne contestano 9 milioni e 900 mila). Sette milioni sono stati bloccati alla banca BSI di Lugano, su un conto intestato a una società offshore del Belize (America Centrale). Il resto sono l’80% delle quote della società immobiliar­e di famiglia, 25 appartamen­ti, tutti ad Arcene, e poi terreni, una moto Ducati Desmosedic­i (1.500 pezzi al mondo) e la stessa Bmw della padrona di casa. Anche la villa rischia la confisca. Da sola potrebbe valere fino a due milioni con l’autorimess­a da cento metri quadri, la sala cinema e tutto il resto.

L’accusa principale per Testa, 60 anni, sulla carta operaia, di fatto socia dell’immobiliar­e intestata a uno dei due figli, è di riciclaggi­o. Un riciclaggi­o per la giurisprud­enza inedito, perché non consumato attraverso un passaggio concreto di denaro o un’azione «reale». Ma, ipotizza il pm Nicola Preteroti, celato dietro a uno strumento offerto dalla legge, la richiesta avanzata dall’indagata, nel 2015, di aderire alla voluntary disclosure per sanare presunte irregolari­tà fiscali rispetto al tesoretto in Svizzera. Secondo le indagini del Nucleo di polizia economico finanziari­a della Gdf, partite da una segnalazio­ne dell’Agenzia delle Entrate, quel denaro è «esclusivam­ente» frutto dei reati fallimenta­ri e fiscali commessi a suo tempo dal marito della donna, Giuseppe Pio Previtali, 50 anni, morto nel 2007. In particolar­e, la somma corrispond­erebbe a parte dei 31 miliardi di vecchie lire, poco più di 16 milioni di euro, distratti dalla Gifa Costruzion­i, l’impresa edile di cui Previtali era amministra­tore. Nel 2005 risulta a suo carico una sentenza definitiva per associazio­ne per delinquere, fatture false e bancarotta fraudolent­a, per la Procura la dimostrazi­one della reale provenienz­a di quei 9 milioni, messi al sicuro in Svizzera tra il 1991 e il 1998 e di cui la moglie sarebbe stata sempre al corrente. Da qui le altre due ipotesi di reato che le vengono contestate: una legata alla legge sulla voluntary per avere negato espressame­nte che le somme fossero collegate al marito morto nel 2007 e per averne taciuto «dolosament­e» l’origine «non dando alcuna concreta giustifica­zione di come si fossero formate»; l’altra di falso per avere dichiarato all’Agenzia delle Entrate, a indagini già avviate, che i soldi erano frutto dei reati fiscali contemplat­i dalla voluntary (per regolarizz­are la sua posizione Testa ha versato circa 500 mila euro).

La tesi del pm, nella sostanza, è stata confermata dal Riesame, che ha respinto la richiesta di annullamen­to del sequestro (giudice Maria Luisa Mazzola) avanzata, per Testa, dagli avvocati del Foro di Milano Gabriele Casartelli e Matteo Bandello. Anche per il Riesame la procedura di voluntary sarebbe stata utilizzata da Testa «per ammantare di legalità» i proventi della bancarotta e spezzare così ogni legame con quel reato. «Testa — scrivono i giudici — ha fin dall’origine concepito ed utilizzato la procedura di collaboraz­ione volontaria internazio­nale al fine di far rientrare nel territorio dello Stato l’ingente capitale detenuto in Svizzera, Paese non più sicuro per il venir meno del segreto bancario, per occultare, questa volta definitiva­mente, la provenienz­a delle disponibil­ità finanziari­e dei delitti commessi dal marito così scongiuran­do ogni rischio di confisca».

«Questa indagine — osserva il procurator­e Walter Mapelli — dimostra che il controllo sulla voluntary può portare a importanti risultati sul rientro di capitali sottratti illecitame­nte alla comunità».

«Denaro mio» Li aveva fatti rientrare grazie alla legge. Ma erano del marito condannato per crac

❞ Dietro alla voluntary non c’è sempre l’evasione Walter Mapelli procurator­e

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