«Il mio Bruckner per il Fai»
Chailly con l’Orchestra del Festival di Lucerna nella Sinfonia n. 7 «Nelle tenebre dell’Adagio già filtra la luce della resurrezione»
Attila è già all’orizzonte, pronto a marciare sulla Scala con i suoi Unni il 7 dicembre; ma questa sera il cuore e la mente di Riccardo Chailly sono completamente assorbiti dalla settima sinfonia di Bruckner, accostata alle ouverture wagneriane del «Rienzi» e dell’«Olandese volante». Serata straordinaria in favore del Fai (grazie a Deutsche Bank il ricavato andrà a finanziare la gestione della milanese Villa Necchi Campiglio), come straordinaria è la presenza della Lucerne Festival Orchestra, fondata nel 1938 da Toscanini, ricreata da Claudio Abbado nel 2003 e dal 2016 guidata da Chailly. «A marzo siamo stati a Lucerna con la Filarmonica della Scala e vi ritorneremo il prossimo aprile; è per me significativo iniziare dalla Scala la tournée che ci porterà in Cina, per cinque concerti a Shangai».
Un ponte tra Milano e Lucerna creatosi sotto l’egida di Chailly, che delle due istituzioni è direttore musicale; un doppio impegno che ne scandisce la stagione: la sua estate si è consumata a Lucerna, ed è stata tutt’altro che di riposo perché oltre al programma presentato anche alla Scala ha diretto un tutto Ravel e un dittico Stravinskij-Mozart. Ci concederà una breve pausa dopo la tournée cinese, per poi dedicarsi totalmente alla Scala: a novembre aprirà la stagione della Filarmonica, poi Attila. «Ho appena letto il libro di Michel Rouch: sul re unno: su di lui circolano tante leggende, ma c’è tanto da conoscere». Chailly ammette che «Attila è un pensiero fisso fin da quando ho iniziato con “Giovanna d’Arco” (il 7 dicembre 2015, ndr) il trittico di opere giovanili di Verdi che culminerà con Macbeth». Oggi è ancora il tempo della Lucerne Festival Orchestra, «una formazione splendida, tipicamente tedesca nel suo perfetto equilibrio tra archi e fiati, nella profondità del suono e nella pienezza dei timbri, ma allo stesso tempo capace di leggerezza e trasparenza. Lo si vede negli episodi in cui Bruckner raggiunge profondità spirituali vertiginose: penso all’Adagio, una marcia funebre nelle cui tenebre già filtra la luce di una resurrezione, o all’ispirato Finale che succede a uno Scherzo dai toni diabolici».
Tra i momenti più ispirati c’è il primo movimento: «Una vulgata sostiene semplificando che tutte le sinfonie di Bruckner inizino col tremolo degli archi; invece questa soluzione è adottata in sei delle undici sinfonie, le nove ufficiali e le due giovanili in fa minore e re minore; questo ci fa capire che non era un cliché ma il modo voluto dal compositore per schiudere scenari vertiginosi e infiniti: nella Settima il tremolo dei violini su cui si staglia il canto dei corni ci trasportano davvero in un altro mondo». Un mondo in cui è evidente l’eco di Wagner: ecco le due ouverture giovanili «che accostate impressionano: quella dal “Rienzi” guarda da vicino l’opera italiana, con l’“Olandese volante” siamo in un nuovo mondo, radicalmente diverso, ed è passato un solo anno. Qui l’ouverture diventa un vero poema sinfonico, uno story telling che riassume in dodici minuti tutta la storia».