«Milioni ripuliti in Kosovo»
Falsi crediti con il Fisco. Versamenti da capogiro nei Balcani. «Coinvolte 50 aziende»
I bonifici portavano in Kosovo i soldi, che poi ritornavano in contanti.
Llashkadrenoc è il nome albanese di un paesino di 3.500 abitanti in Kosovo, Vlaski Drenovac in lingua slava, 1.500 chilometri d’auto da Bergamo. Colline incolte e case povere: non ci sarebbe da stupirsi se qualche cooperante internazionale o volontario, anche bergamasco, ci fosse passato dopo la guerra e i bombardamenti. Stupisce un po’ di più che da Llashkadrenoc siano passati milioni di euro partiti dalla Bergamasca — e in particolare dai conti correnti aperti in due filiali di Ubi a Osio Sopra e Villa d’Adda — che poi tornavano in contanti via nave o con viaggi in automobile. Ripuliti.
È uno scenario che, al momento, si cela dietro il decreto di sequestro, per 16 milioni di euro, eseguito dalla Procura il 9 novembre. Anche se il giro, assicura chi sta ancora indagando, potrebbe rivelarsi molto più ampio. Lo schema, secondo le ricostruzioni in corso, era semplice quanto redditizio: l’imprenditore trevigliese Domenico Piscicelli, tramite una rete di complici indicati nel sequestro stesso, e tramite professionisti che si sono avvicendati, avrebbe garantito a più aziende e cooperative un «pacchetto di servizi» che in realtà consisteva in indebite compensazioni, e cioè falsi crediti con il Fisco.
Tramite i modelli F24, per esempio, venivano indicati crediti Irap fittizi per abbattere i contributi previdenziali dovuti all’Inps. Ma per trasformare tutto in denaro il gioco doveva essere più ampio: le aziende clienti, è l’ipotesi, avrebbero versato tutta la cifra dovuta al Fisco, di volta in volta, o anno per anno, a tre società di consulenza amministrate di fatto da Piscicelli. E quest’ultimo, tramite home banking, avrebbe bonificato quei soldi ad altre aziende, molte con sede operativa a Brescia. Ma la sede legale? Llashkadrenoc. È il caso della Game Design di Coccaglio, che riceve 773 mila euro di bonifico dalla Imprefin di Piscicelli. Oppure della San Andrea Trading, per un milione e 827 mila euro, giusto per fare due esempi. Sono le società che a loro volta bonificavano, ma verso conti correnti in banche straniere, con filiali nei Balcani. Dove però i soldi non restavano: il denaro sarebbe tornato in Italia in contanti, dopo grossi prelievi in Kosovo, mai ostacolati dal sistema di controllo delle banche locali. Fino all’anello finale della catena: una spartizione del malloppo tra il gruppo di Piscicelli, sotto accusa per associazione a delinquere, e le aziende che nel frattempo hanno goduto dei falsi crediti con il Fisco.
Solo al momento della conclusione delle indagini, probabilmente, i contorni del sistema di «lavanderia» oltre l’Adriatico saranno precisati, così come potrebbero essere svelate le identità di eventuali addetti al trasporto di denaro. Il giro d’affari andrebbe ben oltre i 16 milioni di euro di indebite compensazioni che sarebbero state garantite a quattro aziende e tre cooperative: fino a 50 società, negli anni tra il 2013 e il 2017, avrebbero usufruito dei falsi crediti proposti dal gruppo indagato. Parecchio denaro, oltre che in Kosovo, sarebbe finito anche in Croazia e a Londra, per poi rientrare. Un meccanismo che non avrebbe mai funzionato, però, se le filiali delle banche italiane avessero sollevato sospetti puntuali sui bonifici ingenti disposti dal gruppo di Piscicelli. È un altro fronte.