Tino Simoncini visto dal figlio (e da sinistra)
Tino, l’integerrimo che costrinse la Curia a rispettare le regole. E per questo dovette rinunciare alla carriera politica
Venerdì alle 17.45, nella saletta della Biblioteca Gavazzeni di via Rocca 5, Carlo Simoncini presenta il suo ultimo libro sul padre, ex sindaco: «Visto da sinistra. Vita di Tino Simoncini».
Avvocato, alpino, amministratore pubblico. Sono le tre A, non necessariamente in quest’ordine, con le quali è ricordato Tino Simoncini, solo per l’anagrafe Costantino (come il padre), sindaco per otto anni di Bergamo, tra il 1956 e il 1965, l’ultimo al quale il Comune di Bergamo ha intitolato una via.
In occasione del suo centenario (era nato a Clusone il 20 giugno 1918), il figlio Carlo completa una trilogia a lui dedicata. Dopo «La grana del seminario» e «Al balcone di una piccola città», realizzati attingendo al diario della sua esperienza amministrativa, «Visto da sinistra – Vita di Tino Simoncini» (Edizioni Il filo d’Arianna, come i precedenti, 230 pagine, 15 euro), completa il quadro con una più organica biografia, da un originale punto di visione, che intreccia pubblico e privato.
Il titolo indica la differenza, anche ideologica, tra padre e figlio, all’interno di un rapporto personale che il tempo ha progressivamente rintrecciato. Carlo, anche lui avvocato, è appunto uno di sinistra, che votava Democrazia Proletaria e militava nel Pdup. Tino un democristiano doc, almeno per gli ideali, rivolto al sociale, all’appoggio ai lavoratori (clamoroso, per l’epoca, il grosso salvadanaio messo davanti al Comune per la raccolta di fondi per i lavoratori in sciopero dell’allora Pirelli La- stex di Redona) e che tra Destra e comunisti, senza dubbio, guardava con maggiore simpatia, magari un po’ alla Peppone e Don Camillo, questi ultimi. Ma era anche un democristiano atipico, per lo stampo liberale e per un’integrità che gli impediva di surfare tra le correnti, tutto di un pezzo, da buon Alpino (in Russia, da tenente, ottiene una medaglia d’argento al valore militare e la mano destra trapassata da un proiettile).
Del resto se si vuole leggere «Visto da sinistra» come un «Lessico famigliare» dei Simoncini, pure Tino ha avuto un rapporto difficile con i genitori, anche per la loro sofferta separazione e la creazione da parte del padre di una nuova famiglia, quando que- sto non era certo evento comune.
Simoncini arriva a Palafrizzoni, dopo essere stato assessore provinciale al Personale e al Bilancio. Diventa sindaco di Bergamo pochi giorni dopo avere compiuto 38 anni, un record di giovinezza mai più avvicinato in seguito. La sua, negli anni del boom e di Papa Giovanni, è stata un’amministrazione particolarmente attiva e lungimirante, con la nascita del Monterosso, il recupero al Comune di Sant’Agostino e del castello di San Vigilio, l’avvio degli accordi con le Ferrovie per il superamento della cinta ferroviaria, la promozione del Consorzio urbanistico intercomunale, il palasport e lo sviluppo della circonvallazione, in un elenco non esaustivo. Tra i crucci quello di non essere riuscito a condurre in porto l’avviata trattativa per l’acquisto del Teatro Sociale (ci riuscirà in seguito un’altra amministrazione), a causa dell’intromissione nell’operazione della Curia. Con la quale, nonostante la militanza nella Dc e a conferma del suo carattere indi- pendente, si è trovato, suo malgrado, a dovere spesso battagliare, a partire dalla costruzione del mega Seminario in Città alta, cercando di far rispettare le norme a chi invece riteneva che, per un presunto interesse superiore, si potesse far scempio di secoli di storia. Ma sul rispetto delle regole non poteva transigere Simoncini, integerrimo galantuomo, seppure dal carattere a tratti brusco. Uno che brevemente era assurto a notorietà nazionale come il sindaco che, fermato per una mancata precedenza, ha invitato il vigile titubante a procedere e ha pagato mille lire di multa (era il giugno 1960, lo stesso anno del film «Il vigile» di Alberto Sordi, che raccontava tutte altre abitudini).
La sua concezione della cosa pubblica era di piena dedizione, tanto da sacrificarle l’interesse personale, a partire dall’attività dello studio legale che altrimenti avrebbe avuto ben altro sviluppo. E così la «grana del Seminario» gli è costata una carriera politica dalle prospettive luminose. Avrebbe dovuto essere candidato al Parlamento già nel 1963, ma l’ostilità da parte della Curia, oltre che dalla maggioranza fanfaniana, lo portano ad una «rinuncia spontanea» alla candidatura. Mentre nel 1968 viene tenuto in panchina in vista di futuri incarichi nelle nascenti Regioni. Viene infatti eletto alle Regionali del 1970, ma a sorpresa non viene confermato nel 1975. Si chiude così, a 57 anni, la sua carriera politica. Non però l’attività di civil servant: nel 1976 viene nominato presidente della Camera di Commercio, che guiderà fino alla morte, per un cancro al polmone, il 9 ottobre del 1990.