Pasotti su Raiuno: «Porto in tv gli eroi normali»
Con Vanessa Incontrada in «I nostri figli» su Raiuno: «Porto in tv gli eroi normali»
Bello e impegnato. Con fascino civile, Giorgio Pasotti è protagonista del film tv «I nostri figli», diretto da Andrea Porporati e in onda stasera su Raiuno. Con lui c’è Vanessa Incontrada, per raccontare una storia familiare dolorosa e umanissima, tratta un fatto di cronaca. Nel 2007, in Sicilia, Marianna Manduca viene assassinata dall’ex marito. Un parente della vittima (interpretato da Pasotti) ottiene, insieme alla moglie (Incontrada), l’affidamento dei tre figli piccoli della donna uccisa. Un ruolo della maturità per il 45enne attore bergamasco, da vent’anni in ascendenza di carriera. Il primo Muccino («Ecco fatto»), l’ultimo Monicelli («Le rose del deserto»), il cult di Ferrario («Dopo mezzanotte»), il Sorrentino da Oscar («La grande bellezza»).
Pasotti, il suo personaggio, ha due figli. Un lavoro precario e gravi problemi economici. Nonostante le difficoltà, con la moglie Anna decide di accogliere in casa tre figli non suoi.
«“I nostri figli” tratta solo marginalmente il tema del femminicidio. Si concentra invece sulla formazione di una famiglia nuova. Non tradizionale, ma un gruppo coeso in cui c’è unità di intenti. Il senso della famiglia è ancora oggi molto importante. Ne sono dimostrazione i personaggi interpretati da me e Vanessa Incontrada, ispirati ai coniugi Calì, i reali protagonisti di questa storia vera. Io, li considero supereroi».
Qual è il suo pensiero sulla «famiglia allargata»?
«Ormai fa parte della nostra società e sta quasi rimpiazzando la famiglia canonica, quella in cui molti di noi sono cresciuti. Io stesso ho avuto a che fare con una paternità non naturale e partecipato alla crescita di due ragazzi (figli dell’ex compagna, l’attrice Nicoletta Romanoff, ndr), con cui si è costruito un legame indissolubile».
Nel 2010 è diventato papà di Maria, nata dalla relazione con la Romanoff. Tra pochi giorni arriva Santa Lucia. Porterà sua figlia a Bergamo, a imbucare la letterina?
«È un rito che non voglio farle mancare. Io lo facevo con i miei nonni, è giusto che la mia bambina lo faccia oggi con i suoi. Mi fa piacere che le tradizioni si conservino».
Un particolare, che dimostra quanto lei sia legato alla città dove è nato.
«Abito a Roma ormai da tantissimi anni. Ma ogni volta che torno a Bergamo è un viaggio nel mio passato. Piaqualità. cevolissimo, senza malinconia o nostalgia. Quando attraverso Porta Sant’Agostino, mi sento rasserenato dai profumi, dal clima. E dallo scandire del tempo, così diverso da quello delle metropoli. Per sempre, resterò profondamente legato alla mia città».
Tanto da avere dedicato alla più famosa maschera bergamasca, il suo primo film da regista.
«Con “Io, Arlecchino” (diretto nel 2015 insieme a Matteo Bini, ndr) ho voluto riscoprire i luoghi di appartenenza e riportare in vita tradizioni dimenticate. Un processo fondamentale, per riuscire a comprendere chi si è diventati».
La sua opera seconda, «Abbi fede», è ora in fase di montaggio e attesa in sala nel 2019. Crede che la scelta di diversificare così tanto la sua carriera (cinema, televisione, pubblicità, teatro, recitazione e regia), l’abbia privata di una migliore considerazione critica?
«Ne dubito. Sono anzi felice delle mie scelte. A volte sbagliando, ho sempre rincorso progetti che ritenevo di Così ho girato prodotti popolari, ma anche partecipato a un film che ha vinto l’Oscar. Non capita tutti i giorni».
Origini Quando torno a Bergamo mi sento rasserenato dai profumi e dal clima. E dallo scandire del tempo, diverso da quello di Roma, dove vivo