(Altri) pezzi da museo
L’ultimo sabato di ogni mese i volontari del Touring Club aprono i ricchi depositi del Mudec Un percorso nascosto tra sfingi, bronzi, avori cinesi e trine andine
La punta dell’iceberg. Così Carolina Orsini, conservatrice del Mudec, il Museo delle Culture di Milano, definisce le esposizioni permanenti. Per mancanza di spazio, sono molti i pezzi destinati ai depositi. «È il dietro le quinte nascosto al pubblico», osserva lei, «un peccato non vederli: i magazzini sono lo specchio del livello di conoscenza e di scienza di conservazione di una struttura museale». Il sito del Mudec informa che i suoi depositi ospitano settemila oggetti. Il dato è in difetto. Orsini ammette che sono a quota novemila e che entro Natale, grazie a un nuovo arrivo (porcellane, di più non svela), potrebbero sfiorare i diecimila. Oggetti meravigliosi, alcuni davvero antichi, l’arco temporale di questa collezione etnografica creata con i lasciti di diversi musei (da Brera a Storia Naturale), oltre che con le donazioni private, è incredibilmente lungo: dal 1500 a.C. al Novecento.
Una volta al mese (ultimo sabato), le porte del magazzino, grazie all’accordo con Aperti per Voi del TCI, vengono spalancate. Quattro visite guidate, in piccoli gruppi. Vietato girare da soli, divieto assoluto di fotografare. «Non possiamo rischiare», spiega la conservatrice, «abbiamo avori cinesi del 1700 che risentono di ogni variazione di umidità e una trina andina del III secolo a.C., talmente delicata da essere stata esposta un’unica volta. Basterebbe una mano inesperta, un colpo di flash, un urto..».
Il deposito è organizzato seguendo due ordini: cronologico e area geografica. La visita inizia dall’Africa. In un vecchio armadio di legno restaurato («l’unico tocco vintage, facciamo vedere come si custodiva in passato»), è sistemata la collezione d’epoca coloniale dell’esploratore Giuseppe Vigoni, poi sfilano porte e serrature dei Dogon (Mali) e maschere e sculture lignee che arrivano dalle regioni sub sahariane. Si gira l’angolo, e di colpo si è in Cina. Ceramiche e porcellane, soprattutto: dal periodo Tang, anteriore al decimo secolo (magnifica Bixie, la sfinge bicorne smaltata), si avanza al Ming (1368-1644, molti vasi decorati in bianco e blu), per arrivare al «China de commande», quando l’Europa, in epoca pre-Meissen, commissionava in Cina, dove si produceva
La conservatrice «Ingressi a piccoli gruppi, non possiamo rischiare Si parte dall’Africa e si chiude con l’arte islamica»
adeguandosi al gusto occidentale (da non perdere, il servizio da tè con lo stemma di Milano). E ancora, le incredibili statuine di epoca maoista, con il leader in tutte le versioni possibili. Ecco l’armadio degli avori (da Cina e Giappone, pezzi unici creati nel XVIII per le Wunderkammer), e poi lo spettacolare bardo da cavallo con tesserine in legno laccato (che luccicano come fossero di metallo) annuncia il Giappone. «La grande collezione di lacche, bronzi e tessuti, ci racconta con oggetti di uso quotidiano e armi tradizionali la storia e la cultura artistica del paese, a partire da metà del 1500».
Ultimi passi nell’America indigena (tessuti, terracotte e manufatti di aree archeologiche mesoamericane e andine), e infine, l’affondo nell’arte islamica (ceramiche ornamentali da Iran e Siria).