Corriere della Sera (Bergamo)

I RIFIUTI DEGLI ALTRI

- Di Davide Ferrario

Qualche settimana fa ho girato delle scene di un film a Castel Volturno. Castel Volturno ha la fama di uno dei posti più problemati­ci d’Italia ma Borgo Saraceno, il quartiere che era il nostro set, faceva ancora più impression­e. Quando ho fatto vedere le immagini, mi hanno chiesto se ero stato a Beirut — tanto per dare l’idea. Ma la cosa più sconvolgen­te che ho visto è rimasta fuori campo: parlo della gigantesca discarica di rifiuti che nel corso degli anni si era accumulata in quelli che avrebbero dovuto essere i garage del quartiere. Quelli di lì mi raccontava­no che venivano a buttare la spazzatura da tutte le parti del circondari­o. Una tipica storia meridional­e? No. Quello che è successo a Zingonia ci dice che il problema non è del Sud, o «degli altri», ma anche nostro. E non credo che sia solo una questione, per quanto disdicevol­e, di risparmio sulla tassa di smaltiment­o dei rifiuti. C’è una pulsione più profonda che spinge molti cittadini, che immagino altrimenti probi, a nascondere la spazzatura sotto il tappeto, facendo convergere lo schifo in un posto socialment­e (e silenziosa­mente) delegato ad accoglierl­o. A rovesciare il concetto di raccolta porta a porta in un «conferimen­to mirato», si tratti di immondizia o di emarginati, in non luogo come è Zingonia. O anche Castel Volturno. Ambedue figli di un’utopia anni Sessanta che adesso ci offre il suo lato oscuro. Come se il sogno che sottintend­eva il «miracolo italiano» avesse già dentro di sé la malattia che l’avrebbe trasformat­o in un incubo.

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