I RIFIUTI DEGLI ALTRI
Qualche settimana fa ho girato delle scene di un film a Castel Volturno. Castel Volturno ha la fama di uno dei posti più problematici d’Italia ma Borgo Saraceno, il quartiere che era il nostro set, faceva ancora più impressione. Quando ho fatto vedere le immagini, mi hanno chiesto se ero stato a Beirut — tanto per dare l’idea. Ma la cosa più sconvolgente che ho visto è rimasta fuori campo: parlo della gigantesca discarica di rifiuti che nel corso degli anni si era accumulata in quelli che avrebbero dovuto essere i garage del quartiere. Quelli di lì mi raccontavano che venivano a buttare la spazzatura da tutte le parti del circondario. Una tipica storia meridionale? No. Quello che è successo a Zingonia ci dice che il problema non è del Sud, o «degli altri», ma anche nostro. E non credo che sia solo una questione, per quanto disdicevole, di risparmio sulla tassa di smaltimento dei rifiuti. C’è una pulsione più profonda che spinge molti cittadini, che immagino altrimenti probi, a nascondere la spazzatura sotto il tappeto, facendo convergere lo schifo in un posto socialmente (e silenziosamente) delegato ad accoglierlo. A rovesciare il concetto di raccolta porta a porta in un «conferimento mirato», si tratti di immondizia o di emarginati, in non luogo come è Zingonia. O anche Castel Volturno. Ambedue figli di un’utopia anni Sessanta che adesso ci offre il suo lato oscuro. Come se il sogno che sottintendeva il «miracolo italiano» avesse già dentro di sé la malattia che l’avrebbe trasformato in un incubo.