Bennett, storie di vita british
Luca Toracca nel monologo «La patatina nello zucchero» all’Elfo
«Da stasera vesto i panni di Graham, il figlio tuttofare di una mamma svampita e despota, a gennaio invece mi trasformo in Violet, un’amorevole vecchietta di 95 anni in carrozzella che racconta la sua vita». Luca Toracca, uno degli attori più sensibili del Teatro dell’Elfo propone il suo dittico: «La patatina nello zucchero», già applaudito la scorsa stagione, e il debutto di «Aspettando il telegramma», due monologhi firmati dal drammaturgo inglese Alan Bennett, classe 1934. «Mi sono innamorato di questo autore», dice subito il protagonista, «della sua capacità di affrontare i temi più difficili con leggerezza e profondità, raccontando il mondo da diversi punti di vista».
Una doppia prova d’attore in cui Toracca dà voce a tutti i personaggi del testo, a partire da Graham, il figlio omosessuale succube di una madre che lo comanda a bacchetta, un rapporto di dipendenza che si racconta nell’arco di un giorno: all’inizio tra i due c’è l’idillio, tutto precipita quando la mamma ha un incidente e a soccorrerla arriva un’antica fiamma, un’ opportunista che cerca di circuire la donna per i suoi interessi. A nulla varranno i consigli del figlio, l’anziana difende il suo spasimante e manda Graham a un gruppo di igiene mentale. Il rapporto dunque s’interrompe? Assolutamente no, la mattina dopo tutto ricomincerà come prima, madre e figlio torneranno a vivere la stessa routine. Un testo che Toracca sente particolarmente vicino: «Non è stato difficile calarsi nei panni della madre perché la mia in qualche modo le assomigliava, era una all’Elfo di quelle donne che hanno sempre retto la famiglia, abituate a comandare». Le analogie continuano anche con «Aspettando il telegramma» il testo che debutterà a gennaio, «un inno alla terza età», lo definisce l’attore che per calarsi nei panni della simpatica vecchina deve sottoporsi a 45 minuti di trucco: «Amo molto Violet, è un mix di dolcezza e solitudine, mentre attende quel telegramma di auguri che le deve arrivare dalla Regina per i suoi 100 anni, racconta la sua vita e il suo amore non consumato, ma anche le sue giornate nella casa di riposo, il rapporto con gli infermieri, soprattutto con il virile Francis, il suo idolo: le è bastato vederlo una volta senza camice per scatenare le sue fantasie. Potrebbe essere una delle tante vecchiette che ho visto in ospizio, sedate davanti alla tv o a giocare a carte, donne che hanno solo bisogno di un gesto carino, di essere ascoltate. Questo spettacolo è un atto di ribellione contro la loro discriminazione, gli anziani non sono da rottamare, la vecchiaia non va compatita, ma amata».