Quell’amicizia tra D’Annunzio e il suo illustratore
Gabriele D’Annunzio e Adolfo De Carolis, la storia di una committenza e di un’amicizia. A ricostruire il profilo di due personalità diverse, quella del poeta, esigente, sicuro delle proprie scelte e richieste, e quella del suo illustratore, l’artista artigiano che esegue, ma senza sottomissione, è il carteggio tra i due, intrattenuto tra il 1901 e il 1927. Era la corrispondenza tra «il Maestro della parola e il Maestro delle immagini. Il loro fu sempre un dialogo tra parola scritta e la necessità di vederla rappresentata», spiega Giordano Bruno Gerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale degli italiani, introducendo il volume «Gabriele D’Annunzio e Adolfo De Carolis. L’infinito della melodia. Carteggio 1901-1927». Edito da Silvana Editoriale, tra le pubblicazioni della collana L’Officina del Vittoriale, è il risultato di due anni di studio di Valentina Raimondo, che per la prima volta ha ricomposto lo scambio completo di lettere, cartoline, telegrammi e biglietti, pubblicandone un’edizione critica. La storica dell’arte, mercoledì, alle 17.30, nella Sala tassiana dell’Angelo Mai, presenterà il libro, in dialogo con la direttrice della biblioteca, Maria Elisabetta Manca, e Maria Cristina Rodeschini, direttrice della Carrara.
Lavoro di ricerca tra gli archivi della Fondazione Il Vittoriale e quelli storici della Galleria nazionale di Roma, fa emergere «il rapporto tra committente ed esecutore, ma soprattutto la loro stima reciproca — spiega Raimondo —. Benché D’Annunzio fosse concentrato su di sé ed esigente, De Carolis, dall’animo mite, riuscì ad assecondarlo, eseguire quanto richiesto, senza perdere la propria libertà creativa, e a costruire con lui un rapporto amicale che durò sino alla morte». L’illustratore fu tra i prediletti dal poeta, che ne apprezzava la precisione, i rimandi al classicismo, la capacità di comunicare «l’infinito delle melodie», tanto da affidargli incarichi importanti per i suoi volumi, motti, i francobolli e la medaglia celebrativi dell’impresa fiumana.
La pubblicazione segue un criterio cronologico. Il carteggio parte con il periodo fiorentino, tra il 1901 e il 1910. «De Carolis inizia a collaborare con D’Annunzio per realizzare, in breve tempo, i costumi e le scenografie della Francesca da Rimini, poiché Mariano Fortuny dette forfait —
spiega la storica —. In due mesi fece tutto. D’Annunzio lo apprezzò tanto da chiedergli anche le illustrazioni del libro della stessa tragedia. Ne venne pubblicata un’edizione di lusso e una economica. Ma nelle pubblicazioni successive, come la Figlia di Jorio, il poeta spesso opterà solo per la seconda, forse spinto da De Carolis, che aveva una visione democratica dell’arte. Inoltre, un’edizione meno costosa era più acquistabile e D’Annunzio poteva diffondere la propria immagine tra la gente».
Segue il periodo parigino tra il 1911 e 1913, dove i due si sentono poco. C’è poi un vuoto temporale sino ad arrivare alla fase più attiva, tra il 1917 e il 1921, legata all’impresa fiumana. De Carolis illustra il «Notturno» e i motti, «imprimendo ad essi maggiore forza evocativa. Erano immagini parlanti — continua Raimondo —. Le raffigurazioni di De Carolis rendevano più efficace il messaggio di D’Annunzio che, grazie all’amico, creò maggiormente il mito di se stesso. Il poeta è stato l’ideatore della società dell’immagine che ci appartiene e caratterizza». Infine, il periodo tra il 1922 e il 1927: D’Annunzio si trasferisce a Gardone, costruisce Il Vittoriale. «È il tempo del buen retiro. Delle confidenze e ricordi».
L’autrice «De Carolis riuscì ad assecondare il poeta senza perdere la sua libertà creativa»