«Oriocenter punto di ritrovo» Il dibattito
È anche un punto di ritrovo: c’è chi giudica il fenomeno e chi non lo fa, ma riflette e osserva «È un mondo astratto, lontano dalla realtà» «No, questo è un luogo della gita domenicale»
Don James Organisti è più critico, don Giuliano Zanchi leggermente meno: i due sacerdoti partecipano al dibattito su Oriocenter, nel ventennale. Non è più da un pezzo solo un insieme di negozi, ma anche un punto di ritrovo.
Piazza. Sostantivo femminile. Dal latino “platea”. Area libera, più o meno spaziosa, di forma quadrata, rettangolare, circolare, poligonale, che si apre in un tessuto urbano, al termine di una strada e più spesso all’incrocio di più vie, e che ha la funzione urbanistica di facilitare il movimento ed eventualmente la sosta dei veicoli, di servire da luogo di ritrovo e di riunione dei cittadini, costituendo non di rado il centro della vita economica e politica della città o del paese».
Può essere, Oriocenter, una piazza, secondo la definizione della Treccani? La domanda, a vent’anni dall’apertura del centro commerciale, sorge spontanea. C’è chi ritiene che lo sia. In fondo, il centro è indubbiamente spazioso e «poligonale». Inoltre, «facilita la sosta dei veicoli».
Di un altro avviso è però don James Organisti, docente all’Università di Bergamo. «L’agorà — afferma — era il cuore politico della città, di incontro e scambio di opinioni. Oriocenter è un posto forse di appuntamento, ma di incontro direi di no, men che meno politico».
E religioso?, si potrebbe chiedere. La risposta arriva con un tono ironico: «I centri commerciali sono le cattedrali della nuova cultura del consumo. La comunione è quel bancomat che passa da una mano all’altra». Si può sentire il sorriso al telefono, mentre Organisti prosegue: «Attenzione, non appartengo alla schiera di chi li demonizza. Ma ci rifletto». L’impressione, continua, è quella di un «mondo parallelo, astratto, fuori dalla realtà».
La pensa diversamente, per certi aspetti, don Giuliano Zanchi, segretario della Fondazione Bernareggi. «C’è chi ritiene i centri commerciali dei “non luoghi” — esordisce —, ma è interessante notare che, invece, si sono codificati come luoghi veri e propri, dove la gente va indipendentemente dagli acquisti. Gli esseri umani hanno bisogno di un pretesto per stare insieme e lì si trova tutto».
Cinema, ristoranti, librerie, discoteche. Tanto da vedere, da comprare, e da fare. Non solo beni, ma esperienze. A proposito, don James Organisti cita un aneddoto che gli è stato riferito da una coppia di conoscenti. L’estate scorsa, in un noto negozio di tecnologia, c’era la possibilità, per chi volesse, di lasciare i figli
Il centro commerciale È una cattedrale della nuova cultura del consumo. La “comunione” è quel bancomat che passa da una mano all’altra
in custodia a degli educatori che, per un pomeriggio, li hanno intrattenuti facendoli giocare con una app per cellulari. «Sorprende insomma — riprende don Organisti — che i negozi offrano un servizio per “crescere i consumatori di domani”». Oppure, potrebbe obiettare qualcuno, si mette a disposizione di un bimbo un gioco da nativo digitale.
Ma perché questi oggetti sono così importanti? Secon-
Non luogo? In realtà è un luogo vero e proprio, dove la gente va al di là degli acquisti. Agli umani servono pretesti per stare insieme, qui si trova tutto
Il tempo «Qui fluisce come se fosse eterno. Non ci sono orologi, o almeno non ne ho contati»
do don Giuliano Zanchi, «non si tratta di beni che hanno solo un valore economico, ma sono mediatori di un senso». Spiega: «Chi acquista si identifica nell’oggetto acquistato. Comprare è, dunque, più che provvedere a un bisogno. È immergersi in un orizzonte di significati che servono a darne uno alle nostre vite». Basti pensare a un’automobile. «La macchina non è solo una macchina. È libertà. Il significato va al di là dell’utile. Il prodotto è un talismano, la risposta a una domanda che non sapevamo di avere».
Allo stesso modo, il ruolo dei centri commerciali cambia. «Oriocenter — aggiunge don Zanchi — è mondo simbolico, costituito da nuovi riti antropologici, da una nuova ritualità codificata». Basta poco per accorgersene. Si entra, si guarda, si acquista, si ricomincia. Ci si può mettere delle ore, eppure «il tempo fluisce come se fosse eterno. Non ci sono orologi, a Oriocenter, o almeno non ne ho contati». Don Zanchi conclude dicendo di non voler «giudicare questo fenomeno, ma di osservarlo».
Tuttavia, non sempre il bisogno di «caccia al talismano» basta per fare la fortuna di un centro commerciale, rileva don James Organisti. «Altri hanno dovuto chiudere». Fa riferimento alle Acciaierie, a Cortenuova, che ha serrato i battenti nel 2014. «A Orio invece c’è l’aeroporto», continua Organisti.
La «piazza di Oriocenter», insomma, si è mantenuta viva perché si trova «all’incrocio di più vie», come era nella definizione enciclopedica.
Eppure, tornando alla domanda, basta un incrocio per fare una piazza? Secondo Organisti, no. Il motivo è semplice. «A Oriocenter si va per passare, non per abitare». Diversamente da come la pensa don Giuliano Zanchi, che ritiene la funzione svolta dai centri commerciali sia la stessa «che un tempo era svolta dai centri città o dalle campagne, per una gita domenicale». Attività che rispondono allo stesso bisogno di aggregazione, ieri come oggi. «Si esce in famiglia o da soli e ci si ritrova in un acquario umano di relazioni». E se è vero che «è un mondo artificiale ricostruito attorno a una priorità consumistica», però, «c’è qualcosa, nella natura umana, che è capace di sottrarsi alla priorità per riuscire a creare, sempre, dei legami».
«Piazza. Sostantivo femminile. Area libera». Ma non vuota. Forse.