«Noi soli e senza aiuti» Il dramma di vivere con i figli dello sballo
Il racconto di un genitore: insieme ad acquistare la dose Le crisi, le fughe dalle comunità, i legacci in ospedale
«Io non vorrei disturbare chi legge, con la nostra disperazione. E tuttavia credo che conoscerla possa servire a tutti». Inizia così una delle tantissime lettere arrivate dopo l’inchiesta sul boschetto di Rogoredo e la diffusione delle sostanze low cost. A scriverla, un papà che il Corriere ha incontrato in una casa borghese in un quartiere di periferia.
«Alessandro ha 18 anni appena compiuti. Tossicodipendente da quando ne aveva sedici. Eroina, crack, antidolorifici. I SerD sono focalizzati sui pazienti cronici molto più in là con gli anni, non hanno risorse per strutturare un sistema coordinato destinato agli adolescenti — racconta come un fiume in piena —. Le attese per entrare in comunità sono lunghissime. Durano mesi. Ma i ragazzi vanno in craving (smania) di continuo. Vogliono farsi tutti i giorni. A casa picchiano, rubano, minacciano di uccidersi e di uccidere. Le relazioni di affetto si disintegrano, davanti all’urgenza di droga. Siamo arrivati a chiudere nostro figlio nella casa al mare, correndo anche dei rischi, per cercare di traghettarlo fino al giorno dell’ingresso in comunità. E anche quando finalmente entrano si fanno mandare via dopo poco. Basta un semplice atto di indisciplina: non c’è un obbligo di legge alla cura. Non si può trattenere nessuno senza il suo consenso. Neanche un minore». È un nodo cruciale, questo. Forse qualcosa a livello normativo dovrebbe cambiare,almeno per i ragazzi?
Ma la cura, senza volontà, sarebbe efficace? «Siamo arrivati a buttare Ale fuori casa senza un euro, stando svegli tutta la notte con l’incubo di pensarlo in stazione o in overdose. Il ricatto era una possibilità per convincerlo alla cura. L’abbiamo anche denunciato: il provvedimento penale è l’unico modo per far tenere in comunità questi ragazzi».
Il paradosso, la speranza di una condanna: «Un amico di Ale, pregiudicato, è in comunità da un anno. È la misura restrittiva stabilita per lui dal giudice per i minori come alternativa al carcere. Non può evadere. Sta iniziando a studiare per il diploma. È fortunato». Suo figlio invece dopo due settimane di comunità, proprio ieri è uscito di nuovo. Difficile immaginare questo tunnel lunghissimo: «Sono andato con mio figlio al boschetto di Rogoredo, gli ho dato i soldi per farsi, ho aspettato che tornasse e l’ho riportato a casa per un po’. L’ho accompagnato al SerD più e più volte per il metadone. Temporaneamente si è liberato dall’eroina ma è piombato nella trappola del crack. L’ho visto in ospedale, legato a un letto gelido di ferro. Si contorceva in maniera bestiale in crisi di astinenza, è una scena che non auguro a nessuno — continua questo papà, professione dirigente, moglie insegnante, figlia minore liceale —. Il mese scorso era in craving terribile, ci minacciava brandendo un coltello, abbiamo chiamato il 118 e la polizia. Si è barricato per a mezz’ora in stanza, gli operatori che non riuscivano a farlo ragionare. Alla fine lo hanno portato in ospedale, doveva starci tre giorni in Tso (Trattamento sanitario obbligatorio). Dopo un’ora, ripresi dallo shock, siamo andati a vedere come stava. Arrivato in reparto aveva finto di calmarsi e non lo avevano neanche ricoverato, invece. Ci hanno detto che non dava sintomi di squilibrio, aveva solo voglia di drogarsi ed era libero di farlo».
La droga, se inghiotte, è un uncino. Se non accetti l’aiuto non ne esci, non te ne liberi. «Forse c’è anche una azione di
❞ L’angoscia Siamo arrivati a cacciarlo da casa e poi stare svegli con l’incubo che fosse in stazione o in overdose
marketing in atto — riflette il padre —. L’immagine della cannabis salutare, della ketamina che cura, dei suoni a bassissima frequenza che bruciano il cervello ma sarebbero “alternativi” alle droghe tradizionali, le caramelle energizzanti vendute nei bar con lo slogan “la tua dose giornaliera”. I ragazzini distinguono poco. Crescono con una idea. Lo sballo».
Il crinale è subdolo, sottile. Se gli adolescenti cadono, chi aiuta le famiglie a recuperarli tempestivamente? «Di tutto questo bisogna parlare senza vergogna — raccomanda il papà —. Siamo in tanti, tantissimi. Io li vedo, ogni volta che vado in metropolitana o a Rogoredo o nei parchi per recuperarlo. Ci sono altri genitori come noi. Altri padri disperati».