La versione di Livio
Magoni, allenatore selvinese di Petra Vlhova, porta a casa tre medaglie mondiali con la slovacca «Il team azzurro? Rapporti rovinati, io programmo E ora ho un’offerta per una squadra importante»
Il medagliere mondiale è lì che parla. E il totale — 3 medaglie in tutto, un oro, un argento, un bronzo —, che mette sullo stesso piano l’Italia e la Slovacchia dello sci alpino vale più di mille parole. Ma di parole ne ha, e parecchie, Livio Magoni, il tecnico selvinese che, in tre anni, ha forgiato la fenomenale Petra Vlhova. Ai Mondiali di Are la ragazza di Liptovsky (30 mila abitanti tra Polonia e Repubblica Ceca, ma selvinese d’adozione sportiva) ha fatto sfracelli; medaglia d’oro nello slalom gigante, argento nella combinata e bronzo nello speciale. A nazioni inverse, in che termini si parlerebbe oggi di lei? Intanto, di Magoni, classe 1962, fratello maggiore di due altre glorie sportive, Paola (primo oro olimpico dello sci femminile italiano in speciale) e Oscar (tignoso difensore di Napoli e Atalanta) si parla come del miglior italiano nel palcoscenico iridato svedese. Per lui una valanga di complimenti. Anche quelli del ds degli Azzurri, Massimo Rinaldi. «Non poteva non farli, eravamo tutti lì… di mani ne ho strette tante, ma di rimpianti non ne ho più. Al di là delle parole, i rapporti sono rovinati», si coglie l’amarezza nel commento di Magoni.
Rinaldi dice, rifacendosi ai suoi trascorsi in Nazionale, che pur stimandola come tecnico, lei ha dimostrato di non sapere gestire un gruppo di ragazze più grande.
«L’ho letto, ma subito dopo si è contraddetto, quando ha affermato che il team che segue Petra non è composto solo da tre persone. Del resto lo sci è uno sport individuale e i team dedicati funzionano, ma se così fosse vorrebbe dire che so gestire anche i gruppi più grandi. O no?».
Ma il Vlhova team da quanti è composto?
«Da me, il mio aiuto, lo skiman Parravicini e il fratello di Petra. E poi c’è un preparatore atletico che la segue quando è a casa».
Sui Mondiali sono state avanzate critiche all’organizzazione.
«Sappiamo perfettamente che cosa significhi sciare ad Are, un giorno sei a meno 20 e l’altro a più 5 gradi, come è successo. Alla riunione di giuhanno ria del gigante, nessuno però ha fiatato. Tutte hanno sciato nelle stesse condizioni. A Petra ho detto: la gara si fa e tu cerca di scendere il meglio possibile. Non è un caso se quelli che sono andati a medaglia sono gli stessi che guidano la classifiche di Coppa».
Ma Petra come è arrivata a Magoni?
«È successo tre anni fa, tramite un importatore in contatto con il Punto Azzurro (un negozio di Rovetta ndr.). Mi chiamato loro, ma di Petra sapevo già tutto. Io venivo da un periodo durissimo».
Un licenziamento in tronco…
«Che equivale ad un fallimento. Mi ero messo in discussione, avevo mollato tutto. Con lo sci a quei livelli avevo chiuso».
Ma cos’era successo in Fisi?
«Una situazione complessa, un intreccio di logiche e politiche interne, ricambi di allenatori federali che non ci sono stati, attriti tra i team tecnici e quelli della velocità. Io sono stato mandato via, l’unico, gli altri sono rimasti».
Diversità di vedute?
«Premesso che non sono così bravo come mi vedono, ho le idee chiare. Su un atleta che ha qualità e potenzialità io ci costruisco sopra un progetto. Fisso gli obiettivi, mi concentro su quelli e non perdo le linee».
Niente è lasciato al caso, insomma.
«No, l’obiettivo supremo sovrasta tutto e deve essere la logica conseguenza. Prendiamo la Goggia, che è un fenomeno assoluto. Lo scorso anno si è portata a casa la coppa di specialità, un obiettivo centrato grazie ad una serie di fattori favorevoli nell’ultima parte della stagione, mentre io sostengo il valore della programmazione. Nel computer ho ancora i progetti che, in gigante, avevano portato 8 italiane nelle prime 23 al cancelletto di partenza. L’anno prima che mi licenziassero, ogni due atlete partiva un’italiana, segno che il lavoro fatto era buono. Si trattava di aggiungere poi un po’ di freschezza».
In che senso?
«Bisogna essere onesti e riconoscere come ad un certo punto della carriera il risultatino non serve più a nessuno. E io in slalom avevo messo dei paletti. Intorno ai 25 anni si deve essere al top, puntare al
❞ L’incontro Ero in un momento molto difficile quando ho iniziato a lavorare con Petra
❞ Il licenziamento Fisi, situazione difficile ma cacciarono solo me
massimo. Se gli anni passano e quel massimo resta una chimera irraggiungibile, perché capisci che non potresti eguagliare una Shiffrin neanche se sciasse con uno sci, è meglio investire i budget e puntare sulle giovani che hanno voglia di fare, hanno fame e voglia di emergere».
Petra ha 24 anni…
«Il discorso vale anche per lei, bisogna fare alla svelta».
Magoni sarà ancora il suo allenatore?
«Con lei sto bene, ma subito dopo la combinata sono stato contattato da un grosso team che mi ha fatto una proposta interessante. Sarebbe una bella sfida, devo pensarci bene».
A chi dedica questo successo personale?
«A me stesso. Ne ho viste e patite di tutti i colori, è giusto che questo momento me lo goda un po’ io».