Cassisi attacca: «Ho valorizzato Amaddeo»
Maltrattamenti in corsia, l’imputato si difende e attacca
All’avvocato di parte civile, Antonino Cassisi ha risposto con toni accesi: «Non ho mai maltrattato il collega Amaddeo, ho cercato di valorizzarlo». È imputato di maltrattamenti, peculato, falso e abuso d’ufficio.
Conosce le date a memoria e per i dettagli si aiuta con la marea di documenti sul banco. Antonino Cassisi vuole rispondere con precisione millimetrica perché sette anni sotto accusa sono «un inferno, ma spero che emerga la verità. Non sono il mostro che dipingete». Il responsabile della Chirurgia maxillofacciale dell’ospedale di Bergamo, 59 anni, è imputato di maltrattamenti al collega Paolo Amaddeo, peculato, falso e abuso d’ufficio.
Nel giorno in cui ha risposto alle domande del difensore di parte civile, Federico Pedersoli, l’aula si è trasformata in un ring. Toni accesi, da entrambe le parti. Cassisi non guarda mai l’avvocato, con Amaddeo alla sua sinistra. Lo stoppa a ripetizione: «Se vuole farmi domande giuste, rispondo. Ho giocato a calcio come difensore puro, conosco le finte». «Se pensa di intimorirmi, si sbaglia», Pedersoli. Ma lo sfogo che meglio sintetizza il Cassisi-pensiero arriva quando l’avvocato gli ricorda quando riprese Amaddeo, perché operò da solo. «Certo, bisognava essere almeno in due. Ma rimproverato? Parliamo di uomini di 60 anni, dove sono le discussioni tra uomini? Siamo bambini dell’asilo?». Ad ogni domanda, l’imputato è un fiume in piena. Stavolta, è l’avvocato a riprenderlo. Botta e risposta, ancora. Tanto che dopo un’ora di esame il presidente del collegio Giovanni Petillo invita a concentrarsi sulle contestazioni: «Non possiamo stare venti udienze su due professionisti che litigano». In reparto, i due medici erano in disaccordo su molto, se non su tutto. Accertamenti, operazioni, dimissioni. Un esempio è la tac a una bimba di 4 anni con la mandibola rotta. Secondo Amaddeo bastava la radiografia. Non secondo Cassisi: «Si doveva fare la tac, c’era una diagnosi incompleta». Avevano visioni diverse «ma volevo valorizzarlo». L’imputato lo dice più volte, anche se non traccia un alto profilo del collega: «Mi sono reso conto della sua preparazione deficitaria. Gli ho chiesto di fare con me l’intervento su un bambino. Io asportai la parte superiore del tumore, gli lasciai quella inferiore. Dopo 5 minuti con molta eleganza gli ho detto che continuavo io». Racconta anche che Amaddeo frequentò la Cardiologia «per imparare l’A-B-C», dopo il trasferimento alla Medicina dello sport. Lui scuote la testa, replica sottovoce e suggerisce al difensore. Sorride, per disapprovazione, quando Cassisi giura che «non volevo farlo fuori, non l’ho mai maltrattato». La denuncia in cui sono confluite le ferie negate, le pulci sulle timbrature, le sfuriate, l’armadietto finito in corridoio, la telefonata per tornare in ospedale pochi minuiti dopo la fine del turno, la valutazione «0» sulla tenuta delle foto degli interventi, secondo l’imputato ha una sola origine: «Tutto è cambiato quando Amaddeo ha capito che sarei diventato io il responsabile. Si era messo in testa che era lui il primario».
Ma Cassisi l’aveva preso di mira? L’avvocato ha cercato di sostenerlo con una raffica finale di domande. «Lo chiamò cavaliere della pizza?». «Diceva che era cavaliere del lavoro, siccome non lo è nessun chirurgo ho pensato che fosse per il suo ristorante». «Farabutto e fannullone?». «Può essere». «Carnefice?». «Lo è tuttora». «Farò cadere la tua testa a colpi di mannaia?». «Ma quando mai». «Gli cancellò le ferie?». «È qui che l’aspettavo. Come fa uno con gli zoccoli di plastica a scivolare su una goccia di acqua e rompersi l’unghia del piede? 25 giorni di malattia. Ero rimasto solo con due ragazzi giovani, lui rientrò e gli chiesi una mano».
Lo sfogo «L’ho rimproverato? Abbiamo 60 anni, siamo uomini o bambini dell’asilo?»