Corsi di dialetto all’Università
Con due corsi nuovi Brevini porta in cattedra il bergamasco
Il docente dell’Università di Bergamo Franco Brevini terrà due corsi, proprio in Ateneo, sul dialetto bergamasco. «Si completa così un percorso — dice Brevini — per sottrarre i dialetti al ghetto secolare in cui sono sempre stati relegati».
Il bergamasco? Una lingua rozza e popolare. La letteratura in dialetto? Di serie b. Opinioni diffuse, ma profondamente scorrette. Ne è convinto Franco Brevini, professore associato dell’Università degli Studi di Bergamo che, forte di questa idea e a coronamento di uno studio ventennale sul tema, in questo anno accademico porta in cattedra proprio la lingua dialettale.
A lui sono affidati due corsi rivolti agli studenti di Scienze dell’educazione: Letteratura italiana in dialetto (già partito) e Storia e geografia della letteratura italiana (al via a novembre), che «segnano — spiega — il completamento del cammino secolare che ha sottratto i dialetti al ghetto in cui erano stati relegati e li ha accreditati come materia di studio universitario». Un cammino che avvicina la letteratura «valorizzandone le discontinuità territoriali». Che si antepone al modello risorgimentale che invece «ne enfatizza gli aspetti unitari, la presenta come il cemento attorno al quale è stata costituta l’identità nazionale». Un concetto, questo, da rivedere soprattutto se si considera che «al tempo dell’Unità d’Italia, i valori sull’italofonia erano intorno al 5%». E che la varietà è la cifra distintiva del Belpaese, oltre che «la sua vera ricchezza».
Dai documenti di letteratura bergamasca del Trecento e Quattrocento, alle traduzioni dialettali del Seicento di classici come la «Gerusalemme liberata», fino al «Bibbiù» del bresciano Achille Platto, nostro contemporaneo: gli studenti (circa 500) al termine dei due corsi (da 6 crediti ciascuno) avranno acquisito — recita la scheda di presentazione — «una conoscenza di fondo delle principali questioni storiche, teoriche e metodologiche legate al tema dei conflitti linguistici nella tradizione letteraria italiana. E si saranno misurati direttamente con una serie di questioni fondamentali riguardanti la lingua e il dialetto».
«Alla parte più istituzionale — continua Brevini che negli anni ha dato alle stampe «Poeti dialettali del Novecento» (Einaudi, 1987), «Le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo» (Einaudi, 1990) e «La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento» (Mondadori 1999, 3 volumi) — ne affianco una monografica, proprio per dare il senso dell’altezza di questa letteratura. Nei corsi presento due poeti milanesi, Carlo Porta e Delio Tessa». Non si tratta, dunque, di insegnare il dialetto tramite esercizi («Non può essere reintegrato dall’alto come sostengono i suoi paladini»), ma di fornire gli strumenti per far capire che «è semplicemente una lingua che ha fatto meno carriera». A questo si aggiunge la volontà, in una terra come Bergamo «dove il dialetto ha una ricorrenza molto importante», di «fare un po’ di ecologia linguistica, di bonificare qualche stupidaggine». Una fra tutte? «Gli studenti per dire “accanto” usano ancora l’espressione “in parte”».
Sull’importanza di portare il dialetto nelle aule universitarie concorda anche Marco Lazzari, direttore del dipartimento di Scienze umane e sociali: «Sui grandi numeri, che affrontiamo soprattutto negli ultimi anni, riusciamo a ritagliarci dei gruppi consistenti a cui si può fare un’offerta personalizzata. Ad esempio, il corso di Letteratura italiana in dialetto è destinato agli educatori nei servizi per gli anziani. L’idea di fondo è che si avvicinino alla letteratura in una forma che possa essere d’interesse per le attività educative che intraprenderanno e per i loro futuri utenti».
Quanto al domani del bergamasco? «Purtroppo — dice Brevini — è finita la sua civiltà. Nell’era della globalizzazione è un ossimoro». L’unico modo per farlo sopravvivere, «a patto, però, di essere in grado di spiegare che i codici espressivi sono tanti e non vanno confusi, sarebbe continuare a parlarlo in casa, fra genitori e figli». In fondo anche la sua conoscenza e il suo amore per il dialetto sono nati così: «Vengono da mia madre. Era arrivata giovanissima a Milano, originaria della Val Cavallina. E ha continuato per tutta la vita a parlare, tenacemente, il bergamasco».
❞ Si completa il cammino secolare che ha sottratto i dialetti al ghetto in cui erano stati relegati e li ha accreditati come materia di studio universitario
Franco Brevini
Il futuro «L’unico modo di farlo sopravvivere è continuare a parlarlo in casa»