Il visto scade, del Moma resta il sogno
Stefania ha contribuito a progettarne i gadget, ma ora è costretta a tornare a casa
La designer bergamasca Stefania Castelletti, 23 anni, ha lavorato per quattro mesi al Moma di New York. «Partita per restare, mentre ero lì ho capito che sarebbe stato difficile»: il suo periodo di lavoro, dopo il tirocinio, è terminato proprio nella fase di scadenza del visto, sempre più difficile da ottenere. E ora Stefania, con l’aiuto di un avvocato, sta cercando di ridare vita al suo sogno: tornare al Moma.
Al Moma (Museum of Modern Art) di New York, appena riaperto in pompa magna dopo lavori da 450 milioni di dollari, c’è uno shop nuovo dove vendono i gadget che lei ha contribuito a progettare, ma il suo sogno americano non può continuare, stoppato — come tanti altri — dalla scure dei visti Usa. La bergamasca Stefania Castelletti (classe 1996) ha coronato per qualche mese le sue aspirazioni professionali: da gennaio ad aprile, la fiaba di lavorare al Moma, dopo una candidatura, inviata senza crederci fino in fondo. «Il mio sogno è sempre stato andare a New York — spiega —, ma davo per scontato che non mi avessero preso, perché a lungo non è arrivata una risposta». All’improvviso, una mail riapre quel cassetto: un colloquio telefonico a dicembre 2018. Viene selezionata e l’internship, come in America chiamano i tirocini, può cominciare. Forse ha colto nel segno la lettera di presentazione, dove Stefania con sincerità scriveva: «Sono affezionata al Moma da quando, durante una vacanza-studio in quarta liceo, ho visto per la prima volta una sezione dedicata al design dentro un museo: lo avevano elevato allo stato dell’arte». Dopo la maturità al Mascheroni, quindi, la formazione si orienta sull’Istituto Europeo di Design di Milano: Comunicazione visiva, indirizzo Graphic design, laurea nel 2018.
Quando la Grande Mela chiama, la giovane lascia l’impiego in uno studio di Milano, dove pure aveva lavorato per marchi di lusso, come Valextra. I primi giorni per ambientarsi, poi alla conquista del merchandising. «Selezionavo accessori e gioielli da vendere nello shop del museo, cercando di anticipare le tendenze dell’autunno». Ma Stefania ha una formazione creativa e riesce a incidere. «Ho fatto le bozze per la grafica di un ombrello, poi rifinito dal team per i dettagli finali — ricorda —. Mi hanno detto: “Facci una proposta”». Ora quell’ombrello è in vendita, assieme a una linea di borse di tessuto, concepite dalla ragazza che un tempo gestiva anche il sito internet di e-commerce.
Pochi giorni fa, Stefania è tornata al Moma, per la riapertura di lunedì 21 ottobre. New York le manca: «È una città piena di vita ed energia. Anche sul lavoro ti fanno sentire soddisfatta, come se potessi fare tutto. A differenza dell’Italia, ai giovani danno molte responsabilità: e la fiducia dà sicurezza». È tornata: da turista. Perché la sua parentesi s’è chiusa con la data di scadenza del contratto che coincideva praticamente con quella del visto. «Ero partita per restare, ma mentre ero lì ho iniziato a capire che sarebbe stato difficile — confida —. Molti italiani vivono là con l’ansia, nessuno è mai tranquillo fino alla green card (il permesso di soggiorno permanente, ndr). È una situazione un po’ surreale: magari ti senti a casa, ma sai che potrebbe finire da un momento all’altro. Con un visto puoi lavorare e vivere là, ma sei sempre precario». Seguita da un avvocato, Stefania («Il processo è sempre lo stesso, ma con Donald Trump ci sono controlli più minuziosi») sta cercando di costruire un secondo tempo a stelle e strisce. «Our country is full», la nazione è piena, scandisce il presidente a ogni comizio. Chissà se continuerà a esserci posto per i sogni.
Il racconto «Molti italiani vivono e lavorano là sempre con l’ansia, a causa dei permessi»