«Don Milani insegnava ai ragazzi a ragionare con la propria testa»
Fuori, sul sagrato, le auto della Polizia. Dentro, in chiesa, le sedie e i banchi che non bastano per tutti. Quella che in avvio e senza troppi giri di parole Daniele Rocchetti, presidente delle Acli di Bergamo, definisce come «una risposta al convegno che, nella menzogna, infama la memoria della vita di don Milani», vede la chiesa di Longuelo piena in un sabato pomeriggio di shopping e di Atalanta.
Se ne stupisce anche Paolo Landi su cui gli organizzatori hanno puntato con la finalità di far parlare chi, Barbiana, l’ha vissuta per davvero. «Essere qui in tanti è un segno di speranza», attacca Landi, sindacalista e già fondatore di Adiconsum che fu proprio allievo di don Milani. Sullo schermo resta fissa la fotografia della parrocchia, sperduta nella landa toscana dove «don Lorenzo fu esiliato dalla Chiesa. Non solo, ma fu emarginato dalla scuola e pure condannato dallo Stato per apologia di reato». Una vita finita presto, una missione sacerdotale censurata dalla Chiesa di allora, una figura su cui, ad oltre 50 anni dalla morte, prima il cardinal Martini e poi Papa Francesco hanno speso parole riabilitanti: «Don Lorenzo, un profeta», chiarisce Landi. Si leggono brani degli scritti del priore, gli danno voce Ivo Lizzola, don Chicco Re, Maria Grazia Panigada, Savino Pezzotta che, nella sua personalissima riflessione sul tema del lavoro, afferma come «il limite della politica e del sindacato è aver dimenticato la sofferenza», strappando un applauso. La figura di don Milani finisce così in un caleidoscopio di temi — la politica, l’attività didattica, il sacerdozio — con la finalità di trovare, declinata nella vita di tutti i giorni, il senso di una storia che, ricorda Rocchetti, «ancora oggi ci provoca».
«Fu un sacerdote sofferente, ma che si sentiva al centro della Chiesa — spiega Landi —, un maestro che ci insegnava a distinguere le leggi giuste da quelle sbagliate e ad impegnarci per cambiarle, nella convinzione che la leva delle leve fossero la parola e l’esempio. Fu chiaro, quando in Lettera a una professoressa individuò il virus del sistema scolastico, indicandone già allora l’antidoto ovvero la responsabilità di chi opera. Tutto era condensato nel motto su un muro della povera scuola di Barbiana: “I care”, l’esatto contrario del “me ne frego” fascista. Insegnò ai suoi ragazzi a ragionare con la propria testa. Facciamolo anche noi».