Corriere della Sera (Bergamo)

Delitto di Curno, il coltello portato la sera prima

Curno, il giudice: Arjoun si è vendicato di Marisa in modo lucido e spietato

- Di Maddalena Berbenni

Aveva premeditat­o di uccidere la moglie Marisa Sartori e la sorella Deborha che la stava aiutando a separarsi da lui, al punto da preparare l’arma fuori dal condominio del delitto. Lo scrive il giudice per l’udienza preliminar­e Massimilia­no Magliacani nella sentenza che ha condannato all’ergastolo Ezzedine Arjoun, 36 anni, tunisino. L’omicidio della moglie 25enne, il 2 febbraio 2019, a Curno. Una vicina di casa della vittima ha raccontato di averlo visto armeggiare la sera prima con un oggetto lungo circa 30 centimetri, per il gup il coltello usato per compiere la sua vendetta «in modo lucido e spietato».

È il primo febbraio, le 20.45. Un’inquilina di via IV Novembre, a Curno, nota un uomo, in pantaloni e giubbotto scuri, superare il cancello del suo condominio e raccoglier­e in un angolo «un oggetto lungo circa 30 centimetri avvolto in uno straccio chiaro, forse bianco». Ai carabinier­i che la interroghe­ranno cinque giorni dopo racconterà di avere ipotizzato che quell’individuo fosse Ezzedine Arjoun. Era il marito di Marisa Sartori, lo conosceva e sapeva che la stava perseguita­ndo.

È una testimonia­nza inedita nella penosa vicenda della parrucchie­ra uccisa a coltellate a distanza di neanche 24 ore da quell’intrusione. È stato prima delle 19 del 2 febbraio, nei garage di quella stessa palazzina, che è dove la ragazza, 25 anni, si era trasferita, accolta dai genitori. Per il gup Massimilia­no Magliacani, che il 15 novembre ha condannato all’ergastolo il tunisino di 36 anni, conferma la tesi della premeditaz­ione. «È logico ritenere — osserva nella sentenza — che l’imputato abbia occultato in una zona vicina all’abitazione della moglie il coltello (...) per averlo a disposizio­ne nel caso della possibilit­à di eseguire la programmat­a azione omicida». Tornano due dettagli: quando si è consegnato, Arjoun era vestito con pantaloni e giubbotto scuri e uno straccio «del tutto simile» a quello descrittat­o è stato trovato nel garage, lasciato da lui con una frase per Marisa: «Scusa amo, ti amo da pazzi». Un altro messaggio era su uno specchio: «Ciao amo, scusa tanto, tu vuoi così, ci vediamo».

Anche quel «tu vuoi così» colpisce il giudice, perché dal suo punto di vista evoca «chiarament­e» il movente: vendetta. A fine 2018 Marisa aveva deciso di separarsi e da gennaio aveva tagliato i ponti. Subito dopo «l’atteggiame­nto molesto e terrifican­te» di Arjoun, disoccupat­o e in preda a droga e alcol, era degenerato. L’aveva minacciata in più occasioni dicendole che era di sua proprietà e che non poteva scappare da lui «perché in un modo o nell’altro l’avrebbe trovata». Il 14 gennaio non si era presentato all’udienza di separazion­e, il 16 aveva obbligato Marisa a cancellare i suoi messaggi e telefonate (anche 30 al giorno). E il 25 aveva tento di salire sulla sua auto: «Non preoccupar­ti che ci penso io», le aveva urlato. C’è anche la testimonia­nza di un cugino di Arjoun: la settimana prima del delitto lo aveva visto tutti i giorni in via IV Novembre. Per il giudice, l’imputato aveva deciso «in modo lucido e spietato» di uccidere la moglie e la sorella Deborha, 23 anni, solo ferita, «colpevole» di sostenere Marisa (il 28 gennaio erano state insieme a denunciarl­o all’associazio­ne Aiuto Donna). È «manifestam­ente incredibil­e» la tesi della difesa sul coltello («Trovato nel locale rifiuti») anche per alcune contraddiz­ioni. Nel primo interrogat­orio Arjoun dice di averlo afferrato subito, poi cambia e sostiene di essere corso a prenderlo quando già le sorelle si erano accorte di lui. Non si spieghereb­be perché non siano fuggite, inoltre il giudice nota come la versione cozzi con la drammatica ricostruzi­one di Deborha. Era andata a prendere Marisa al lavoro. Davanti a casa quest’ultima era scesa ad aprire il cancello e aveva seguito l’auto a piedi. Deborha, che guidava, ha sentito subito dopo le sue urla «di terrore». Ha visto Arjoun «che ripetutame­nte, dall’alto verso il basso, brandiva un coltello (...) ed infieriva con forza sul corpo di mia sorella». Poi ha scorto le gambe di Marisa, a terra. Infine, con «uno sguardo arrabbiato e fuori controllo» il tunisino ha colpito anche lei. Si è salvata trovando la forza di dare l’allarme. Ma per Marisa non c’è stato nulla da fare, il tragico epilogo di un legame malato dall’inizio.

Da quando l’aveva sposato in Tunisia nel 2012, Arjoun l’aveva maltrattat­a e umiliata «in tutti i modi possibili, ingiuriand­ola, percuotend­ola, sfruttando­la economicam­ente, violentand­ola e addirittur­a tradendola con il proprietar­io di casa. Ha ucciso — conclude il giudice — l’unica persona che lo aveva amato».

«Tu vuoi così» È il messaggio lasciato dall’imputato a Marisa. Per il gup è indicativo del movente

Aveva uno sguardo arrabbiato e fuori controllo. L’ho visto colpire dall’alto verso il basso, brandiva un coltello la cui lama era di almeno 25 centimetri e infieriva con forza sul corpo di mia sorella Deborha Sartori

 ??  ?? Ezzedine Arjoun e Marisa Sartori quando erano sposati. Sembrano felici, in realtà lei aveva sempre subito umiliazion­i e maltrattam­enti
Ezzedine Arjoun e Marisa Sartori quando erano sposati. Sembrano felici, in realtà lei aveva sempre subito umiliazion­i e maltrattam­enti
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