Corriere della Sera (Bergamo)

«Paziente rischiò per la guardia medica»

Il pm: niente visita, poi la peritonite. Ma la difesa: disse di andare in ambulatori­o

- Giuliana Ubbiali

Un forte mal di pancia, la chiamata alla guardia medica di Piario, la richiesta di una visita, poi in ospedale l’operazione per peritonite. Secondo il pm, il dottore rifiutò la visita a domicilio facendo rischiare la vita alla paziente, di Castione. Era il 2014. L’accusa chiede la condanna a 6 mesi, per rifiuto d’atti d’ufficio. Diversa la ricostruzi­one della difesa: la guardia medica invitò la paziente ad andare in ambulatori­o, in ospedale la peritonite venne diagnostic­ata 30 ore dopo.

Un forte mal di pancia, la chiamata alla guardia medica, la richiesta di una visita a domicilio, l’ipotesi telefonica di un virus gastro-intestinal­e, alla fine un intervento per peritonite. Era l’8 settembre 2014. La sequenza dei fatti è pacifica, ma non l’interpreta­zione giuridica. Il 7 gennaio, giorno della sentenza, farà la differenza per Francesco Cantamessa, il medico che quella sera alle 11.30 rispose al telefono dal presidio di Piario. Per lui, già sanzionato a livello disciplina­re e che subito si scusò con una lettera, il pm Fabrizio Gaverini ha chiesto la condanna a sei mesi, pena sospesa, per rifiuto di atti d’ufficio. Un reato che per l’avvocato Raffaella Rizza, di Milano, non è stato commesso e che va giudicato al di là della deontologi­a profession­ale.

«Se marito e moglie avessero sottovalut­ato la situazione, ci sarebbe stato il rischio di un decesso». Il peggiore degli scenari ipotizzato dal pm venne evitato perché, qualche ora dopo la chiamata alla guardia medica, il marito mise in automobile la moglie, di 42 anni, e da Castione la portò all’ospedale di Lovere. «Per i dolori che aveva, al pronto soccorso l’hanno dovuta prelevare dalla macchina», sempre il pm. Nella sua ricostruzi­one, attraverso le testimonia­nze, la coppia si mise in strada perché il medico respinse la richiesta di una visita a domicilio, dopo aver consigliat­o di andare in farmacia ipotizzand­o un virus, anche se al telefono il marito rispose che la moglie non aveva vomito e dissenteri­a: «Fece quella diagnosi per non andare». Dal registro, non risultano altre uscite quella sera. Per l’accusa, il medico in un primo momento si era giustifica­to dicendo che aveva consigliat­o di andare al pronto soccorso.

La difesa, citando il capo di imputazion­e, fa presente che il dottore invitò la signora ad andare in ambulatori­o, a Piario, più vicino di Lovere: «Non ha rifiutato di svolgere la propria attività, solo non ha seguito pedissequa­mente la richiesta». Questo, sempre per la difesa, sulla base delle informazio­ni fornite dal marito, «che non ha più aggiornato», e del fatto che la paziente non avesse patologie pregresse. L’avvocato ripercorre i fatti, ma soprattutt­o i tempi: «Il mal di pancia era iniziato 20 minuti prima della telefonata, non ore. Al pronto soccorso la signora venne tenuta sotto osservazio­ne e la peritonite fu diagnostic­ata 30 ore dopo, a seguito di una laparoscop­ia». Comunque, dice il difensore, il medico ha la discrezion­alità di valutare se lasciare scoperto il presidio «a tutela dell’utenza stessa».

Marito e moglie non si sono costituiti parte civile, l’Ats sì e, con l’avvocato Pierluigi Buzzanca, chiede 10.000 euro: «Se il paziente chiede la visita, va fatta. La diagnosi è fallita nel momento in cui il marito della signora ha detto che non aveva i sintomi chiesti dal medico».

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A processo Guardia medica imputata di rifiuto di atti d’ufficio per una visita non fatta

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