Carlo Porta Fortune e desgrazzi
Prime edizioni, illustrazioni e manoscritti: due secoli in mostra da sabato al Salone della Cultura
Oltre 500.000 titoli esposti da oltre 180 realtà, tra librerie antiquarie e editori, animano sabato e domenica al Superstudio Più la IV edizione del Salone della Cultura, patrocinato da Regione, Comune e A.I.E. Tra incontri e diverse esibizioni tematiche, da Alda Merini al Pinocchio illustrato da Fabio Sironi, alle stampe del writer Obey, spicca la mostra bibliografica, curata da Luca Cadioli e Mauro Novelli, dedicata al più grande dei poeti in dialetto milanese e tra i maggiori dell’Ottocento italiano: «Duecento meno uno, Carlo Porta, poeta milanese», accompagnata da un catalogo pubblicato dalla milanese Libreria Antiquaria Pontremoli.
Il «Carlin», per certo suo umorismo, l’avrebbe apprezzata fin dal titolo, poiché manca un anno al bicentenario della morte avvenuta a 45 anni a Milano il 5 gennaio 1821. Ritrovare insieme le prime edizioni del poeta, scandite da pannelli che ne ricostruiscono biografia e luoghi, è un’occasione unica per ammirare un mondo editoriale lontano, da un libretto d’occasione come il «Brindes de Meneghin all’ostaria» (1810), dedicato al matrimonio di
Napoleone con Maria Luisa d’Austria, a una rara poesia distribuita come volantino a teatro, e l’evolversi della fama del Porta, che raccolse le sue poesie nel XII volume della «Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese» (1817). Un’opera finanziata con una sorta di crowdfunding tra salotti borghesi e per cui Porta faticò non poco, scrivendo all’editore Cherubini: «i nostri concittadini in generale amano di più la broda che i libri». L’edizione del 1817 mise un punto fermo a parte della sua produzione, ma certe poesie erano già diffuse. Se le letture private del Porta, anche attore al Teatro Filodrammatici, avvenivano per pochi nella sua «Cameretta» — oggi via Montenapoleone 2 —, i testi giravano in città: «Erano singole poesie in forma manoscritta, copiate a mano — racconta Luca Cadioli, 37 anni, curatore e libraio per la Pontremoli dove la mostra prosegue per tutto gennaio dopo la presentazione domenica alle 11.30 al Salone — per evitare le maglie della censura. Di copia in copia ovviamente si corrompevano, ma erano note».
Per Porta, impiegato per le casse dell’impero, prima francese e poi austriaco, non era un bene esporsi troppo e l’effetto esplosivo di certe sue poesie critiche contro gli abusi dei potenti è stato postumo, come con l’edizione del 1826 del ticinese Vanelli che causò l’intervento della Polizia austriaca e svizzera. In mostra ve ne sono diversi esemplari, grazie a cui si conobbero anche tante poesie inedite dell’autore: «A dare veramente luce a Porta — racconta infine Cadioli — è stata l’edizione illustrata del 1842 per Guglielmini e Redaelli voluta da Alessandro Manzoni, che l’aveva ben conosciuto, e che esponiamo insieme alla Quarantana de “I promessi sposi”. Manzoni ha seguito insieme l’edizione del suo romanzo e quella delle poesie, ne è una prova lo stesso impianto grafico e l’utilizzo degli stessi illustratori».