Corriere della Sera (Bergamo)

Negli anni ‘70 c’erano 15 sale

- di Davide Ferrario

Gli addetti ai lavori sapevano da un po’ della imminente chiusura del San Marco. Il fatto è che il gestore, Michele Nolli, nipote del Piercarlo che tutti i cinefili bergamasch­i ricordano con affetto, aveva pensato, con la collaboraz­ione del Meeting, a una chiusura alla grande. Magari con una proiezione di «Arancia meccanica» alla presenza di Malcolm McDowell, ospite d’onore del Bfm. Invece il destino (e l’emergenza Covid 19) hanno mandato tutto all’aria. E così i cinema tradiziona­li in città restano solo due, lo StudioCapi­tol e il Conca Verde. Mi assale la malinconia se penso a com’era Bergamo da questo punto di vista negli anni della mia formazione, tra i ’70 e gli ’80. Tanto per cominciare, un dato statistico rivelatore: Bergamo aveva la percentual­e più alta in Italia di spettatori in rapporto alla popolazion­e. E infatti in città si contavano una quindicina di sale, al netto di quelle parrocchia­li. Ricordarle è come recarsi al cimitero della memoria, una Spoon River della celluloide.

Il San Marco, per esempio, erano in realtà due sale. Una più grande, di sopra, per la programmaz­ione popolare, negli spazi occupati oggi; e l’Arlecchino, di sotto, per film più di qualità. Erano un po’ il salotto cinematogr­afico cittadino: e io, studente squattrina­to e ribelle, non le amavo molto. Ma è proprio lì che vidi, barando sull’età, «Arancia meccanica», vietato ai 18. A proposito, non molto distante, in via Verdi, c’era il Ritz, nella palazzina oggi occupata da una banca: santuario a oltranza del porno, dopo che, negli anni Ottanta, l’altro locale a luci rosse della zona, il Nuovo, cambiò indirizzo. Lo rilevammo noi del Lab80 e una delle cose più difficili, all’inizio, fu dissuadere certi

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