Negli anni ‘70 c’erano 15 sale
Gli addetti ai lavori sapevano da un po’ della imminente chiusura del San Marco. Il fatto è che il gestore, Michele Nolli, nipote del Piercarlo che tutti i cinefili bergamaschi ricordano con affetto, aveva pensato, con la collaborazione del Meeting, a una chiusura alla grande. Magari con una proiezione di «Arancia meccanica» alla presenza di Malcolm McDowell, ospite d’onore del Bfm. Invece il destino (e l’emergenza Covid 19) hanno mandato tutto all’aria. E così i cinema tradizionali in città restano solo due, lo StudioCapitol e il Conca Verde. Mi assale la malinconia se penso a com’era Bergamo da questo punto di vista negli anni della mia formazione, tra i ’70 e gli ’80. Tanto per cominciare, un dato statistico rivelatore: Bergamo aveva la percentuale più alta in Italia di spettatori in rapporto alla popolazione. E infatti in città si contavano una quindicina di sale, al netto di quelle parrocchiali. Ricordarle è come recarsi al cimitero della memoria, una Spoon River della celluloide.
Il San Marco, per esempio, erano in realtà due sale. Una più grande, di sopra, per la programmazione popolare, negli spazi occupati oggi; e l’Arlecchino, di sotto, per film più di qualità. Erano un po’ il salotto cinematografico cittadino: e io, studente squattrinato e ribelle, non le amavo molto. Ma è proprio lì che vidi, barando sull’età, «Arancia meccanica», vietato ai 18. A proposito, non molto distante, in via Verdi, c’era il Ritz, nella palazzina oggi occupata da una banca: santuario a oltranza del porno, dopo che, negli anni Ottanta, l’altro locale a luci rosse della zona, il Nuovo, cambiò indirizzo. Lo rilevammo noi del Lab80 e una delle cose più difficili, all’inizio, fu dissuadere certi