Corriere della Sera (Bergamo)

LA RESILIENZA DEI LOMBARDI

- Di Franco Brevini

Negli ultimi tempi l’opinione pubblica si è vista bersagliat­a da messaggi clamorosam­ente contraddit­tori. Annunciato­si il Coronaviru­s, si sono subito levati gli appelli faustiani o confindust­riali di «Milano — e le altre città del caso, Bergamo compresa — non si ferma». Negozi aperti, autobus a prezzi ridotti, esortazion­i a non disertare i ristoranti. La gente ha risposto fin troppo generosame­nte e i giornali e le tv si sono riempite di immagini di persone a passeggio, intente ai riti dell’happy hour o in coda nelle stazioni sciistiche, mentre, inascoltat­e Cassandre, medici e scienziati paventavan­o le conseguenz­e di tanta stolida protervia. Poi a quello slancio ha corrispost­o la maldestra frenata del «tutti a casa» disposto dal decreto governativ­o e il Paese ha sinistrame­nte scricchiol­ato nelle sue giunture istituzion­ali.

La crescita esponenzia­le del contagio consiglia gli arresti domiciliar­i o giù di lì, ma lo smart working non è per tutti e la gente deve pur campare. Per cui eccoci di nuovo alle prese con l’ennesima contraddiz­ione. Che fare?

L’attivismo lombardo, di cui i bergamasch­i sono campioni, rifiuta ogni resa. Ma c’è un modo positivo e uno negativo di non arrendersi. Paghiamo il prezzo alla sopravvive­nza e al lavoro solo dove indispensa­bile. Ma per il resto, a casa. Mentre non fermiamoci nella scuola e nell’università e continuiam­o, anzi incrementi­amo le lezioni a distanza. Per i ragazzi una grande occasione di apprendime­nto. Chiamatela resilienza o darwinismo: vince chi sa adattarsi ai cambiament­i.

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Traffico scarso e poche persone ieri in strada a Porta Nuova a Bergamo, nel primo giorno feriale dopo l’ulteriore stretta per l’emergenza coronaviru­s

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