DUE GOCCE NEL MARE DI PAURA
Tra i mali che solo venti giorni fa ci sembravano insopportabili, c’erano i gruppi WhatsApp dei genitori delle classi scolastiche. Ma la tragedia collettiva del coronavirus ci sta insegnando a rivalutare tante cose. Due settimane dopo la chiusura delle scuole — e con la prospettiva di altri 20 giorni in quarantena —, la maestra Silvia e la maestra Erica hanno cominciato a mandare video ai bambini della loro classe di scuola materna. Elearning a misura di bambini dai 3 ai 6 anni. Prima un saluto affettuoso, poi un paio di videoracconti dal soggiorno di casa, con un sottinteso di sofferenza appena mimetizzato tra i sorrisi e le promesse di rivedersi presto. Non è poco. È un messaggio fondamentale, per dire ai bambini, alle mamme e ai papà, e soprattutto a loro stesse, che la vita riprenderà, quando avremo finito di attraversare questo deserto. Due video, pochi secondi, una goccia nel mare di paura, incredulità, rabbia, mischiate con orgoglio, speranza e attenzione reciproca che i bergamaschi si stanno comunicando a distanza in questi giorni. La città è vuota. La vita si è fermata e, bisogna dirselo, siamo solo all’inizio di una salita durissima. La curva dei malati cinesi assomiglia tanto a quella italiana, di cui Bergamo è purtroppo la triste locomotiva. Su quella curva bisogna tenere fissi gli occhi: ci vorranno settimane, forse un mese, se ci comportiamo tutti bene, perché il contagio rallenti. E, con esso, le morti. In Cina sono state necessarie 4-5 settimane di quarantena di massa, ordinatissima.