L’informazione dia speranza
Gentile direttore, sono un imprenditore edile di una piccola attività artigianale di Villa di Serio, al confine con Nembro e Alzano. Le scrivo perché, con i miei soci, abbiamo deciso di metterci in quarantena preventiva già dal 6 marzo e, dopo 10 giorni, stiamo tutti bene. L’abbiamo fatto nel rispetto di chi ogni giorno deve lasciare, per professione e competenza, la sua famiglia per raggiungere gli ospedali e lottare in prima linea. In casa, dal punto di vista lavorativo, ci si organizza con preventivi, contabilità, aggiornamento su tecniche costruttive. Mi affaccio alla finestra e ci sono i vicini che puliscono il giardino dalle erbacce di stagione, o l’amico che prende l’occasione per tinteggiare casa. Mia figlia, pedagogista, tiene monitorati via web i suoi ragazzi e li sprona a continuare il loro lavoro. E poi c’è Patrik , il ragazzo nigeriano fuggito dal suo paese dalle persecuzioni di Boko Haram e, da qualche mese, ospite in casa nostra, che non potendo né lavorare né studiare ha organizzato un piccolo corso di yoga con l’aiuto di un tutorial. Una Bergamo silente, che rispetta le regole, che non rinuncia a vivere. Poi accendi la tivù e una nota giornalista della Rai, che non voglio citare, fa una trasmissione che dura mezzora e definisce Bergamo la città della morte! No! È irrispettoso per chi fa il suo lavoro e rinuncia agli affetti per curaci tutti! È irrispettoso nei confronti di chi in questo momento è solo, e fragile! L’informazione, il suo e giornale e qualsiasi mezzo di comunicazione, oggi hanno un’enorme occasione: raccontare la quotidianità, fatta di difficoltà e impegno ma ricca di occasioni per la riscoperta del senso delle cose e dei rapporti umani. Insieme alle numerose pagine di chi non c’è più e ha lasciato in modo così surreale i suoi cari, riempite il vostro giornale di speranza. Grazie.