«La dottoressa che mi ha salvato»
Fabrizio Persico, 72 anni e un infarto, è guarito anche grazie a Clara Bettini che sostituisce il collega nel paese più colpito
Alle 21 del 4 marzo Clara Bettini aveva smontato dall’ambulatorio, primo mercoledì del suo incarico a Nembro. Ha 28 anni, si è laureata in Medicina nel 2018, vive con la madre in città e allora non aveva paura. Quella sera il suo telefonino ha squillato per un’emergenza. Uno dei suoi pazienti, acquisiti perché lei sta sostituendo un collega in quarantena, non rispondeva alle chiamate della cugina. «Così ho preso e sono andata. Che cos’altro avrei dovuto fare? La casa era nel centro del paese, in mezzo alle vie stretmieri te, non riuscivo a trovarla. Poi, chiedendo ai vicini, ci sono arrivata. Ho bussato, silenzio». In quell’appartamento Fabrizio Persico, 72 anni, si reggeva a stento. Coronavirus, ma non poteva saperlo ancora: «Avevo febbre ed eccessi di tosse secca, credevo di cavarmela con la Tachipirina», dice ora che il peggio è alle spalle. Alla porta, alla fine, ci è arrivato. «Mi sono trovato davanti questa dottoressa giovanissima, che è rimasta con me finché non mi hanno portato via con l’ambulanza».
L’ex diplomatico che ha girato il mondo per tornare a Nembro e la dottoressa non al primo incarico, ma quasi. Sono due delle tante storie che quest’emergenza ha intrecciato, impastate ognuna del loro lato drammatico, ma anche buono. «Sono arrivato al Papa Giovanni nel momento in cui l’Urologia era diventata Pneumatologia. Vedevo gli infer
❞ Non so se riuscirò a lasciare Nembro quando il collega rientrerà. È un paese massacrato. Pesa la scelta di chi ricoverare e chi no Clara Bettini medico
fare i facchini — racconta Persico, tra le altre cose direttore dell’Ufficio esteri della Provincia ai tempi di Valerio Bettoni ed ex presidente di Paese vivo, l’associazione da cui è nata la lista civica del sindaco Claudio Cancelli —. In Pronto soccorso c’era tantissima gente che non riusciva a respirare, in reparto mi ha colpito la forza di volontà di chi telefonava ai figli e si sforzava di consolarli, e lo spirito di sacrificio del personale». La cura, a base di idrossiclorochina, lo ha riportato ai tempi della Guinea, «al primo attacco di malaria, devastante. Il coronavirus è stata un’esperienza simile», superata nonostante precedenti clinici non proprio trascurabili. «Ero un soggetto a rischio, anche per via di un infarto». E ora è in quarantena, «ma sembra più un domicilio coatto, la polizia locale è già passata tre volte a controllarmi», scherza dopo avere ricordato i numeri scioccanti di Nembro: «Siamo quasi a 100 vittime, nella Prima guerra mondiale, in tre anni, erano state 128».
Quando ha accettato di sostituire il collega Massimo Pandini, Clara Bettini non aveva paura: «Eravamo sull’orlo del precipizio, allora. Ne ho più adesso». Non solo per la tragedia in cui s’è trovata al centro: «È un paese massacrato, c’è proprio il terrore. Molti anziani ti guardano e quasi non capiscono cosa sta succedendo, e sono soli perché magari anche i figli sono chiusi in casa con la febbre. Mi è capitato di visitare più membri della stessa famiglia e di salutare pazienti che sapevo non avrei rivisto. Il peso più grande è fare delle scelte: gli ospedali sono impallati, devi sapere decidere chi mandare e chi no». Ma, appunto, la preoccupazione maggiore è un’altra: «Le condizioni in cui lavoriamo non sono sicure, il rischio di essere contagiati è altissimo. Da Ats io ho avuto solo mascherine chirurgiche e un camice monouso. Ho usato 6 mascherine ffp2 del collega: andrebbero cambiate ogni 8 ore, ma le ho dovute tenere 2 o 3 giorni per farmele bastare. Ti chiamano e vai, io non riesco a esimermi. Per fortuna c’è la solidarietà, anche della gente comune. C’è stato chi me le ha lasciate appese al cancello». La quarantena del collega finirà: «Mi sono presa a cuore Nembro, non so se riuscirò ad allontanarmi».
Sos mascherine Il medico: da Ats solo quelle chirurgiche, la gente me le lascia appese al cancello