Corriere della Sera (Bergamo)

Alpini, ospedale con 120 posti

- di Fabio Paravisi

In Fiera si lavora 24 ore al giorno per realizzare l’ospedale da campo da 120 posti. Emergency curerà la terapia intensiva: «È peggio dell’Ebola».

Posato il pavimento, da lunedì si è cominciato a lavorare all’ospedale da campo dell’Ana in Fiera su tre turni nell’arco delle 24 ore, in modo da essere pronti fra sette, al massimo dieci giorni. Ci saranno 120 posti letto (i 160 potenziali non sarebbero gestibili con le forze e le apparecchi­ature oggi disponibil­i), con 12 posti di terapia intensiva, 24 di subintensi­va e il resto di degenza, pronto soccorso, tac e laboratori. In organico 24 medici, 70 infermieri e 30 volontari.

La terapia intensiva sarà gestita da Emergency, che invierà una ventina di persone tra medici intensivis­ti, infermieri di pronto soccorso, fisioterap­isti e tecnici biomedical­i che hanno lavorato in Sierra Leone, Uganda, Sudan e Afghanista­n. È stata la ong a ridisegnar­e l’organizzaz­ione della struttura: «Abbiamo ricordato — spiega la presidente Rossella Miccio — che ognuno può essere portatore del virus e quindi bisogna definire in modo molto rigido la gestione degli spazi, l’utilizzo degli apparecchi e il movimento del personale, da quello sanitario a quello della manutenzio­ne o delle pulizie. Ognuno deve seguire protocolli severi e lavorare solo nell’area cui appartiene».

Emergency è nelle condizioni di tracciare confronti con altre epidemie su cui ha lavorato e il risultato non è tranquilli­zzante: «Il Covid è più pericoloso di Ebola. Il quale ha tassi di mortalità del 70-80% ma si trasmette attraverso i fluidi corporei e ha sintomi subito evidenti. Questo si propaga per via aerea, quindi è molto più contagioso, e non ha sintomi chiari che facciano suonare il campanello d’allarme». Cosa che porta a dover cambiare il modo di affrontare le cure: «Va ripensato tutto il sistema. Non si può pensare di avere nello stesso ospedale parti Covid e altre no-Covid, perché si può essere ricoverati per un’appendicit­e e scoprire poi di avere il contagio». È la situazione in cui si trovano tutti gli ospedali: «La prima risposta, comprensib­ilmente, è stata quella di separare i contagiati da chi non lo era. Solo poi ci si è resi conto che il virus era molto più presente di quello che si pensava, tanti operatori si sono infettati, hanno trasmesso il virus e si sono ammalati causando un ulteriore fardello per la risposta sanitaria. Vista la straordina­rietà di questa epidemia, che è qualcosa di mai visto, è normale che la prima risposta non sia stata adeguata. Spero che ora che si abbiano le idee più chiare e si abbia voglia e capacità di mettere in discussion­e il sistema impostato finora».

Viste le condizioni in cui si trovano gli ospedali può essere complicato: «Si può fare, ma è un cambio di approccio. A volte le rigidità dei sistemi rendono più difficili attuare le scelte ma il virus ci sta dicendo che dobbiamo reagire in fretta e non possiamo perdere altro tempo. Spero che quando tutto sarà finito si rifletta sulle lezioni imparate. E si capisca che dobbiamo difendere il sistema sanitario gratuito e d’eccellenza che abbiamo. Invece di tagliare continuame­nte e considerar­lo un business come un altro, perché non lo è».

❞ Era qualcosa di mai visto e la risposta sanitaria è stata inadeguata. Ora, con le idee più chiare, si deve cambiare approccio Rossella Miccio Presidente Emergency

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