Anche il Parlamento ricorda Don Fausto
In stazione la gente di don Fausto si avvicina al camper del servizio Esodo e domanda ai volontari come va. Sono italiani e stranieri che vivono in strada. Qualcuno dice che reciterà una preghiera, altri vogliono sapere se ci sarà il funerale. No, l’emergenza non lo concede a nessuno.
La salma del sacerdote del Patronato, 67 anni, morto di coronavirus e ieri omaggiato anche in Parlamento dal deputato pd Graziano Delrio, questo pomeriggio farà solo un ultimo passaggio, prima della tumulazione a Lurano, nei luoghi della sua vita. Le autolinee, la comunità a Sorisole, il carcere. Anche lì, dove don Fausto Resmini era cappellano dagli anni ‘90, i colloqui ruotano intorno a lui. Viste le restrizioni, i detenuti hanno inaugurato l’era delle videochiamate. «Abbiamo ricevuto cellulari più tecnologici e incrementato le telefonate», spiega la direttrice Teresa Mazzotta. È un momento di particolare isolamento: per contenere l’epidemia niente visite, niente volontari e anche il secondo cappellano, don Giambattista Mazzucchetti, è in quarantena. «La videochiamata consente un contatto con le famiglie, loro stesse, per altro, colpite dalla morte di don Fausto, che era il punto di raccordo tra il dentro e il fuori — prosegue Mazzola —. Dopo il primo giorno in cui tutto sembrava rallentato e c’era troppa commozione per parlarne, ora i detenuti stanno cercando un modo per rendergli omaggio». Passata l’emergenza, la direttrice si attiverà per l’intitolazione della casa circondariale. Ripensando al sacerdote, si sofferma sui bimbi: «Metteva a disposizione la comunità per i colloqui protetti. Così ha permesso a molti padri di continuare a svolgere il proprio ruolo genitoriale. Ci sono, ad esempio, situazioni di separazioni in cui la madre non accetta che il figlio entri in carcere. Abbiamo una ludoteca e uno spazio giochi all’aperto, ma è chiaro che, soprattutto per bambini dell’età della scuola materna, la comunità ha un impatto completamente diverso». E così era per gli anziani. «Abbiamo avuto casi in cui i titoli esecutivi sono arrivati dopo processi lunghi e nel frattempo la persona aveva già fatto un suo percorso. Per evitare una regressione, don Fausto offriva l’opportunità di ottenere una misura alternativa».
Sono temi su cui di solito si ragiona nei convegni. La presidente del Tribunale di Sorveglianza Monica Lazzaroni non nasconde tutta la difficoltà del momento: «Un mese di apnea», riassume. Si occupa di prigioni dal 1992 e don Resmini lo conosceva bene: «Quando aveva bisogno di parlarmi, non chiamava mai. Mi aspettava di persona e io ogni volta gli chiedevo: ma perché non mi hai telefonato? Non voleva disturbare, diceva. Ricordo di un detenuto gravissimo, un malato terminale senza nessuno. Non riuscivano a trovargli una sistemazione. Lui non ci ha pensato un attimo e lo ha preso con sé. Era un uomo incapace di dire di no, umile ma anche autoritario. I detenuti lo rispettavano e di tutti conosceva il nome con quel suo approccio mai giudicante, religioso ma anche laico. E pragmatico. Sapeva quali erano i meccanismi di un sistema che deve funzionare e con la sua capacità di capire l’animo umano preveniva il fallimento». Non è un gioco gestire misure alternative. L’ultimo progetto condiviso era un corso per volontari: «Sarei dovuta andare a tenere una lezione ed era molto soddisfatto perché l’adesione era stata alta».
«C’è il funerale?» È la domanda di alcuni senzatetto in stazione: l’emergenza lo vieta. Sarà tumulato a Lurano