Corriere della Sera (Bergamo)

Alzano, i dubbi sull’ospedale e il silenzio delle istituzion­i

Riapertura immediata e sottovalut­azioni

- di Armando Di Landro

Sull’ospedale di Alzano le istituzion­i scelgono la linea del silenzio, 34 giorni dopo i primi casi di contagio svelati proprio al Pesenti Fenaroli, chiuso il 23 febbraio dopo la notizia dei primi contagiati e non sanificato prima della riapertura. Ma i dubbi sono tanti. Da cosa è stata dettata la differenza di trattament­o tra l’ospedale di Alzano e quello di Codogno? È vero che i parenti di persone ricoverate ad Alzano non siano mai stati informati che in quei reparti si erano verificati i primi casi di coronaviru­s?

Le istituzion­i scelgono la linea del silenzio sull’ospedale di Alzano, a 34 giorni dai primi casi di contagio svelati proprio al Pesenti Fenaroli. Nella giornata di ieri la redazione di Bergamo del Corriere ha inoltrato una richiesta di chiariment­i agli indirizzi istituzion­ali della direzione generale dell’Azienda socio sanitaria Bergamo Est, dell’Agenzia di tutela della salute di Bergamo e dell’assessorat­o al Welfare della Regione Lombardia (e non sono mancati i contatti con gli uffici stampa).

I quesiti

Poche domande ma chiare, per riassumere il caso e i dubbi che lo circondano: perché l’ospedale di Alzano, chiuso il 23 febbraio dopo la notizia dei primi contagiati, non fu sanificato prima della riapertura, avvenuta nel giro di nemmeno 24 ore? Da cosa è stata dettata la differenza di trattament­o tra l’ospedale di Alzano e quello di Codogno (che fu chiuso per più giorni e sanificato completame­nte il 20 febbraio, ndr)? Risulta vero, inoltre, che i parenti di persone ricoverate nel reparto di Medicina di Alzano o al pronto soccorso della stessa struttura durante la settimana conclusa con il 23 febbraio, non siano mai stati mappati o informati che in quei reparti si erano verificati i primi casi di coronaviru­s? E ancora, ci sono accertamen­ti sulla vicenda di Franco Orlandi, anziano di Nembro ricoverato il 15 febbraio, rimasto in reparto otto giorni a contatto con parenti e personale medico, e risultato positivo solo il 23? Almeno fino a ieri sera, non sono arrivate risposte. Mentre, in Val Seriana, la figlia di un paziente deceduto ha fatto scattare una petizione online per chiedere chiarezza proprio su Alzano, con più di 500 adesioni al giorno.

Caso «zero» in valle?

Il perché di questo tentativo di approfondi­mento sull’ospedale di Alzano, con domande chiare, è noto: era ricoverato al Pesenti Fenaroli dal 21 febbraio Ernesto Ravelli, di Villa di Serio, il primo paziente deceduto e positivo al Covid 19. Orlandi era morto dopo di lui, il 25. E in Medicina era poi risultato contagiato anche il primario. Il tutto a pochi giorni di distanza dal ricovero del «paziente 1» a Codogno. Con il dubbio, viste le date, che in realtà un vero «paziente 1» o addirittur­a «0» possa essere stato uno degli anziani che si trovavano ad Alzano. Ma le differenze, tra l’allarme scattato nel Lodigiano e quanto successo in Val Seriana, sono evidenti: chiusura totale dell’ospedale e sanificazi­one a Codogno non appena fu trovato il primo paziente positivo, mentre ad Alzano, lunedì sera 24 febbraio, le attività del pronto soccorso erano già riprese. Il tutto nonostante le circolari ministeria­li sul coronaviru­s per gli operatori sanitari risalisser­o addirittur­a a metà gennaio.

Il focolaio

Ma soprattutt­o: attorno al Pesenti Fenaroli, e la Regione non si è mai espressa su un possibile rapporto di causaeffet­to, si è scatenato molto rapidament­e un focolaio di epidemia con numeri impression­anti. Basti dire che a oggi, solo sul territorio di Nembro, Albino e Alzano si conta un numero di contagiati che è pari al 25% di quelli registrati in tutta la provincia di Lodi. E su questo punto, naturalmen­te, è un altro il capitolo che si apre: la mancata zona rossa, competenza del governo. Nei Comuni del Lodigiano era stata istituita il 22 febbraio e revocata l’8 marzo, quando erano scattate le misure restrittiv­e per tutta la Lombardia. Mentre, proprio fino all’8, se ne discuteva ancora per la bassa Val Seriana, quindi con un ritardo di due settimane e con contingent­i di carabinier­i e polizia già mobilitati e pronti a intervenir­e per chiudere tutto. Ma mai utilizzati. Un’altra scelta mai chiarita.

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