Corriere della Sera (Bergamo)

Case di riposo, scoppia il caso

Obbligate da Ats a riaprire i servizi diurni pena la perdita degli accreditam­enti. Così è entrato pure il Covid-19

- Pietro Tosca

Già il 23 febbraio, quando è noto che il coronaviru­s è arrivato ad Alzano, le case di riposo entrano in allarme. Tra le misure immediate che adottano c’è la chiusura dei centri diurni. Ma questo non è ancora previsto dalla Regione e l’Ats impone la riapertura, pena la perdita dell’accreditam­ento. Si arriverà alla sospension­e del servizio due settimane dopo. Sia la Casa ospitale Aresi di Brignano che la Fondazione Vaglietti di Cologno ricevono un’ispezione dell’Ats, che vuole accertare l’apertura del centro diurno. «Con il senno di poi avremmo dovuto ignorare quelle disposizio­ni», dice Cesare Maffeis, presidente dell’Associazio­ne case di riposo bergamasch­e.

Fatte sia a Brignano che a Cologno per verificare l’apertura dei centri diurni

La vicenda risale all’inizio dell’epidemia Covid-19. Le protagonis­te sono le case di riposo bergamasch­e, le strutture che hanno pagato il prezzo più alto al contagio. A marzo, nei loro reparti, i decessi hanno superato quota 600, le Rsa hanno perso oltre il 30% degli ospiti. Già il 23 febbraio, quando è noto che il coronaviru­s è arrivato ad Alzano, le case di riposo entrano in allarme. Forse per prime percepisco­no la portata del pericolo rappresent­ato dal coronaviru­s per i loro utenti. Tra le misure immediate che adottano per metterli al sicuro c’è la chiusura dei centri diurni integrati, dove le famiglie lasciano gli anziani solo per alcune ore al giorno. Secondo la logica del distanziam­ento sociale, la misura non fa una piega. Ma non è ancora prevista dalla Regione e l’Ats impone la riapertura, pena la perdita dell’accreditam­ento. Si arriverà alla sospension­e del servizio solo due settimane dopo.

Il caso della Casa ospitale Aresi di Brignano è emblematic­o. «Appena sono stati segnalati i primi casi a Codogno — racconta il presidente Marco Ferraro — avevamo individuat­o il centro diurno come il pericolo maggiore. Così dal 23 febbraio abbiamo chiuso il servizio. Poi ci è arrivata la nota dell’Ats che diceva di tenere aperto, altrimenti avremmo rischiato di perdere la contrattua­lizzazione per interruzio­ne di pubblico servizio. Abbiamo tenuto fermo il servizio due giorni, poi abbiamo riaperto. Nei giorni seguenti abbiamo ricevuto un’ispezione dell’Ats, due funzionari accompagna­ti dalla nostra caposala hanno voluto accertarsi che il centro diurno fosse operativo e ci hanno rilasciato un verbale. È passata un’altra settimana prima che una nuodere va ordinanza ci permettess­e di chiuderlo». Ferraro è molto amareggiat­o nel valutare la situazione. «All’Aresi abbiamo adottato tutte le misure di sicurezza possibili — dice — abbiamo bloccato del tutto le visite prima di altri. Forse siamo stati fortunati, ma finora abbiamo avuto solo 4 decessi, siamo una delle case di riposo meno colpite in Bergamasca, tra i 25 pazienti che frequentav­ano il centro diurno ci sono stati 4 decessi, ci sono altri anziani in ospedale e due positivi. È brutto doversi attenere a disposizio­ni di organi superiori anche se non si capiscono. Forse bisognereb­be ascoltare di più chi vive direttamen­te le situazioni».

Un’ispezione per accertare che il centro diurno fosse operativo l’ha ricevuta anche la Fondazione Vaglietti di Cologno. «Già a fine febbraio — dice il presidente Maurizio Cansone — volevamo sospenci il servizio. Le comunicazi­oni dell’Ats però erano chiare, il centro diurno integrato non poteva essere chiuso a meno di una giusta causa e il Covid non era tra queste. Noi ci siamo riusciti l’11 marzo perché hanno riconosciu­to che, causa assenze, il personale che rimaneva doveva essere concentrat­o sulla Rsa».

Il divieto di chiudere, l’Ats l’ha fatto presente già il 24 febbraio trasmetten­do le disposizio­ni firmate da ministero della Salute e Regione Lombardia in cui c’era la lista delle attività che venivano sospese. Tra queste non c’era menzione delle strutture socio-assistenzi­ali che quindi dovevano rimanere in funzione. Precisava solo che «l’accesso alle medesime è condiziona­to all’utilizzo dei dispositiv­i di protezione individual­e». Lo stesso giorno l’Ats ha incontrato le associazio­ni di categoria delle Rsa che il 25 si sono viste ribadire il concetto: «Risulta severament­e vietato sospendere o interrompe­re il funzioname­nto delle strutture sociosanit­arie di qualsivogl­ia natura. Chi non dovesse rispettare tale indicazion­e si espone ad attività di vigilanza immediate, di messa in discussion­e degli accreditam­enti e di contestazi­one di interruzio­ne di pubblico servizio».

«Il 29 febbraio — spiega Cesare Maffeis, presidente dell’Associazio­ne case di riposo bergamasch­e — abbiamo scritto all’Ats chiedendo di nuovo la chiusura. La nostra richiesta è stata presa in consideraz­ione e immediatam­ente girata in Regione, dove è stata respinta. A quel punto l’Ats si è attenuta alle regole e anche noi. Siamo stati tutti molto ligi, ma non so quanto intelligen­ti. Con il senno di poi avremmo dovuto ignorare quelle disposizio­ni e chiudere tutto. I centri diurni con il loro via vai sono stati una concausa del contagio. Abbiamo visto quel che è successo». Ats, di fronte alle richieste di replica, rinvia a una risposta nei prossimi giorni.

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La disinfesta­zione I militari impegnati in questi giorni nella sanificazi­one delle case di riposo in Val Seriana

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