Corriere della Sera (Bergamo)

La mancata Zona Rossa Politica da don Abbondio

- Di Gigi Riva*

Caro direttore, scusa se comincio, in premessa, con due citazioni. Una, opportunam­ente in tempi di diversa peste, del Manzoni: «Del sen di poi son pien le fosse». L’altra del Vangelo: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Vorrei partire dal basso e salire su su per li rami. All’inizio dell’emergenza coronaviru­s tutti, me compreso, abbiamo sottovalut­ato la pericolosi­tà della minaccia.

Un po’ per le rassicuraz­ioni tipo: sarà come un’influenza, o poco più. Un po’ per titanismo personale: a me non succederà. E ci siamo sentiti spalleggia­ti dagli interventi di pubbliche autorità, soprattutt­o politiche, che lanciavano slogan a non fermarsi. Solleticav­ano la nostra voglia di non abbandonar­e la vita «di prima», di non chiuderci nella clausura degli «arresti domiciliar­i».

Sono di Nembro, ma non sto a Nembro. Però con Nembro parlo al telefono, per diverse ore al giorno, con svariati interlocut­ori, dal 23 febbraio. Ricordo perfettame­nte l’apprension­e di molti (la maggioranz­a) che temevano fosse proclamata per la Bassa Valseriana la zona rossa, allora famigerata e oggi santificat­a a posteriori come una chimera, come se sarebbe potuta essere la panacea di ogni male. Non voglio incolpare nessuno, solo trarre una morale in antitesi con l’andazzo (che era? che sarà ancora?) in voga: non è vero che uno vale uno, non è vero che la Rete rende il sapere orizzontal­e, il sapere è sempre verticale. E per ogni settore c’è bisogno di esperti. Non siamo tutti onniscenti, nonostante il Web. Questo almeno dovrebbe averci re-insegnato la pandemia.

Dunque in quella iniziale fase confusa e disorienta­nte che ha messo a nudo la ubris, la tracotanza individual­e, ci sarebbe stato bisogno di una leadership forte e sicura dei decisori politici spalleggia­ti dagli scienziati. Quella che oggi (e ieri no) si reclama a gran voce. E qui saliamo di livello. Reclamavam­o i leader e non c’erano o non erano in grado. Timorosi o titubanti, senza una convinzion­e profonda o una stella polare per orientarsi. Il primo caso a Codogno è del 21 febbraio. Due giorni dopo il primo morto in Valseriana, dove si scoperchia il vaso di Pandora di un contagio già diffuso probabilme­nte da tempo e dove inizia la carneficin­a. Provoca sconcerto il balletto attorno all’ospedale di Alzano con il pronto soccorso chiuso, blindato per poche ore e poi riaperto. Senza un perché e senza una spiegazion­e. La zona rossa sembra una scelta obbligata, arrivano persino i militari che si accampano in attesa dell’ordine esecutivo dopo il pronunciam­ento favorevole dell’Istituto superiore di Sanità. E nulla succede. Pressioni degli imprendito­ri perché mentre il virus che infetta l’apparato respirator­io non dilaghi nel polmone economico di una zona così industrios­a? Loro smentiscon­o. Però, anche fosse vero, era la politica, oggi per necessità declinata in biopolitic­a, a dover resistere ed affermare una volta tanto il suo primato, così spesso delegato appunto all’economia quando non alla finanza. È disarmante allora l’immondo scaricabar­ile in atto tra i vari Gallera, Fontana, Conte su chi dovesse rompere gli indugi, sfidare l’impopolari­tà e imporsi. Tutti soggetti tanto bravi a sollevare conflitti di competenza tra Stato e Regioni quando la discussion­e è puramente accademica e riguarda il potere. Tanto svelti oggi a nasconders­i dietro un latinorum da don Abbondio per allontanar­e da sé il sospetto di una incapacità manifesta ad essere ciò che dovrebbero: dei politici eletti per fare il bene comune. Napoleone sosteneva che ogni soldato porta nella sua giberna il bastone da maresciall­o. Qui, ed ora, quel bastone se lo sono dimenticat­i a casa anche i generali.

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