Corriere della Sera (Bergamo)

Le comunità per disabili sono state lasciate sole

Da Agorà (Celadina) a Namastè (Cenate Sopra) Gli educatori si sono dovuti reinventar­e, anche per misurare la saturazion­e agli utenti

- Di Michela Offredi

Raffaella Beloli non ha visto i due bimbi e suo marito per 12 giorni. Temeva di contagiarl­i o, al contrario, di infettare gli ospiti della struttura dove lavora: la Comunità socio sanitaria (Css, ndr) Agorà, del consorzio La Cascina di Villa d’Almè, che a Celadina accoglie dieci disabili di età compresa fra i 18 e i 65 anni. Così, volontaria­mente, si è trasferita in un appartamen­to messo a disposizio­ne da una cooperativ­a amica. «È stata dura ma ho fatto la scelta giusta», commenta l’educatrice che, come altri colleghi, ha trascorso le ultime settimane in trincea.

Con l’arrivo del coronaviru­s, infatti, molte di queste realtà si sono trovate a riorganizz­are spazi e attività. A gestire paure, malattie, assenza di personale e dispositiv­i di protezione, al pari di ospedali e case di riposo. «Dai primi di marzo — spiega la presidente del consorzio Francesca Facchinett­i — abbiamo interrotto tutte le attività esterne. Sono stati vietati gli ingressi ai volontari e ai parenti». Se la «chiusura delle porte» non ha creato troppi problemi, «più complicato è stato gestire i pazienti positivi al Covid-19 e gli ammalati della casa, fossero essi operatori (5-6 su un totale di 8, ndr) o ospiti». Un utente di 62 anni, già affetto da patologie cardiologi­che, è deceduto all’ospedale. Un secondo caso, invece, si è risolto positivame­nte. In totale nelle strutture del consorzio (quattro Css e tre appartamen­ti protetti, tutti fra Bergamo e provincia) 4 ospiti sono risultati positivi al tampone. Una ventina, invece, i sintomatic­i senza riscontri.

«Ancora prima di avere i risultati del tampone — prosegue la presidente — abbiamo riorganizz­ato le giornate nelle stanze. Per qualcuno, avendo patologie importanti, è difficile rispettare la reclusione così come la richiesta di indossare la mascherina». Altro capitolo, quest’ultimo, complicato. Trovare i dispositiv­i di sicurezza «è una fatica immensa, non si riescono a ordinare, non arrivano. E non parliamo dei costi — aggiunge —. Le normative, a differenza di realtà simili come le Rsa, non prevedono che ci vengano distribuit­e mascherine. Come Css siamo accreditat­i in quanto servizio socio sanitario, ma siamo sempre l’ultima ruota del carro. Le sanificazi­oni le abbiamo fatte di tasca nostra. Nelle normative sui tamponi, i nostri lavoratori non sono citati». Per questo, «come consorzio e in collaboraz­ione con la cooperativ­a Lavorare Insieme, stiamo valutando di fare prelievi ematici a tutti, operatori e utenti», anticipa Facchinett­i.

Altrove la situazione non è diversa. Stesse difficoltà, simili le strategie messe in atto. A Cenate Sopra la cooperativ­a Namasté gestisce due strutture per persone affette da disabilità: la Css Impronta e gli appartamen­ti protetti Cenate 2. Anche qui c’è stato un caso di un utente positivo al Covid-19. «Fortunatam­ente è guarito ed è già rientrato dall’ospedale — spiega la coordinatr­ice Roberta Savoldelli —. Altri hanno avuto la febbre. Ai primi lievi sintomi, sono stati isolati. La speranza è che non aumentino, altrimenti avremo un problema di spazi».

In questo periodo «gli educatori si sono dovuti reinventar­e». Si sono trovati a svolgere compiti più sanitari, come la misurazion­e della saturazion­e (che indica la percentual­e di ossigeno nel sangue), ma anche l’organizzaz­ione dell’attività in cucina e le sedute di ginnastica. «Molti degli abitanti di Cenate 2, che sono per lo più giovani sui 25 anni, settimanal­mente rientravan­o in famiglia — dice —. C’è tanta nostalgia di casa ma stanno reggendo. Dalle grandi cose a quelle minime, tutto ora richiede un’organizzaz­ione complessa». Un esempio fra tanti? La spesa al supermerca­to, prima era un momento per fare gruppo, «ora conclude -, fra l’autocertif­icazione, le code e il carrello troppo piccolo per contenere tutto, è diventata un’impresa».

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