Corriere della Sera (Bergamo)

Intubato a Piario Salvo a Palermo

Trasferito in Sicilia in fin di vita, ora è fuori pericolo La moglie: «Credeva di avere avuto un incidente e di essere in guerra. Nei medici tanta umanità»

- Maddalena Berbenni

Marco Maffeis, 61 anni, di Clusone, è uscito dal coma a Palermo. «Un viaggio della speranza», dice il primario che lo ha salvato.

Il 13 marzo anche Piario è in pieno tsunami Covid con la coda delle ambulanze fuori dal Pronto soccorso, letti ovunque e il personale concentrat­o su un’unica specialità: la battaglia alle polmoniti. I reparti sono tutti convertiti e 5 posti in Chirurgia dedicati ai casi più critici. È una mini Terapia intensiva per tenere in vita e, se necessario, stabilizza­re e trasferire negli ospedali più attrezzati. Quella sera il dottor Stefano Bonazzi, 20 anni a Calcinate, dal 2016 alla guida dell’Anestesia e Rianimazio­ne in Alta Val Seriana e a Lovere, sta rientrando a casa, a Seriate, finito l’ennesimo turno estenuante. In reparto, tra gli altri, ha lasciato Marco Maffeis, 61 anni, di Clusone, tre figli, ricoverato 4 giorni prima in condizioni disperate. «Mi chiama un collega del Bolognini, che aveva un caso gravissimo come Maffeis», racconta il primario. È Ettore Consonni, il tatuato magazzinie­re di Bergamo ora guarito, di cui si è parlato tanto. «Mi dice che l’ospedale di Palermo è disponibil­e per entrambi».

È l’inizio di quello che Bonazzi chiama «un viaggio della speranza», ora si può dire a lieto fine, perché anche Maffeis ha superato il peggio. È stato il primo portato da Piario fuori regione, con il C-130J dell’Aeronautic­a militare. Alla fine dell’ondata sono stati in 50, lontano o lontanissi­mo, in ambulanza o in volo, 15 passati da quella Terapia intensiva «arrangiata in un giorno, facendo i salti mortali», dice il medico. Dal 23 febbraio a Pasqua, 1.300 accessi e 350 i ricoveri: «Una prova di vita che mai ci saremmo aspettati di affrontare. Mi sono ritrovato a fare scelte, e a farle fare, da medicina di guerra. Abbiamo fatto i medici, gli psicologi, a volte anche i preti». Maffeis. «Nelle tre ore successive alla telefonata del mio collega ne è seguita una serie: con l’ospedale di Palermo per inviare le relazioni cliniche, con l’Aeronautic­a per coordinare il volo e poi con la famiglia. Ricordo perfettame­nte quando a mezzanotte ho chiamato e ha risposto la figlia». Ne è nata un’amicizia. «Mi sono sentito come un padre per quei ragazzi, siamo sempre rimasti in contatto — prosegue Bonazzi, che ha gestito in prima persona lo spostament­o di Maffeis a Orio —. Gli tenevo la mano e gli dicevo “non mollare”. Quando alle 5 ho visto l’aereo decollare, una lacrima è scesa. Quella era davvero la sua unica speranza».

A casa, la prima videochiam­ata è arrivata a sorpresa il 16 aprile, dopo un mese di coma e una ricaduta pesante per un’infezione batterica. E ancora oggi Maffeis oscilla tra parentesi buie e i primi attimi di serenità, «come quando è comparso con un uovo di Pasqua. Adora il cioccolato, glielo ha portato una dottoressa». Anche Vittoria Barzasi, la moglie, un po’ sorride e un po’ piange. Sul tavolo ha un elenco di 35 nomi: amici, conoscenti, anche parenti portati via dall’epidemia. In centro a Clusone la sua famiglia gestisce dal 1927 il ristorante Mascì, come «maschietto», il soprannome dei suoi bisnonni. «Quando Marco ha saputo dell’intervista si è raccomanda­to di spiegare quanta angoscia porta questa malattia, è devastante — sottolinea Vittoria —. Lo psicologo ci ha spiegato che il suo inconscio ha vissuto tutto. Si è ritrovato come in una dimensione parallela in cui credeva di essere in guerra, non sappiamo se perché il padre è stato in un campo di concentram­ento. Quando si è risvegliat­o, ai medici ha chiesto, scrivendol­o su un foglio, come stavamo noi. Era convinto di avere avuto un incidente stradale con nostro figlio». L’immagine di Angelo, 17 anni come la gemella Paola, è l’ultimo ricordo. La notte del ricovero gli aveva tenuto la mano fino all’ambulanza, prima di perdere conoscenza. Con Giulia, la primogenit­a ventenne, Vittoria aveva atteso notizie in ospedale. «Ero ancora convinta di riportarlo a casa. Nonostante i 10 giorni di febbre, mi rifiutavo di credere che avesse il Covid». Sintomi li ha avuti tutta la famiglia, il cognato e il fratello, gravi, si sono curati a casa, senza tampone. «Mio marito era fumatore, aveva avuto già gravi problemi di salute e una polmonite seria 3 anni fa. Ho pensato: se prende il Covid, uno come lui non ce la fa. Ci avevano detto di aspettarci una telefonata. Sono tornata a casa convinta che l’avrei ricevuta, con i miei figli diventati adulti in un attimo».

Paola descrive l’ultimo bacio al papà, in corridoio, mentre lo portavano via, e parla delle telefonate in cui lui piange e chiede di averli accanto. In una foto è con i fratelli sul set di Montalbano, a Scicli, due estati fa. Per via del suo passato da regista, Maffeis conosceva Alberto Sironi. «In Sicilia ci torneremo di sicuro, ma Marco un tatuaggio non se lo farà mai», scherza Vittoria. Domenica ha contattato la famiglia di Consonni, uno dei tanti legami stretti. Umanità è la parola che ripete: «Ne abbiamo trovata tanta. Il dottor Bonazzi è stata la nostra salvezza e i medici di Palermo strepitosi». Ora, resta solo il rientro.

È stato davvero un viaggio della speranza. Quando ho visto l’aereo decollare, mi sono commosso Stefano Bonazzi direttore di Anestesia e Rianimazio­ne a Piario

 ??  ?? Famiglia Marco Maffeis con i figli Angelo, Giulia, Paola e la moglie Vittoria Barzesi, a New York nel 2019. Abitano a Clusone, dove Vittoria gestisce il ristorante «Mascì»
Famiglia Marco Maffeis con i figli Angelo, Giulia, Paola e la moglie Vittoria Barzesi, a New York nel 2019. Abitano a Clusone, dove Vittoria gestisce il ristorante «Mascì»

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