IL PARADOSSO DELLA FASE 2
Forse dietro questa storia della Fase 2 c’è un paradosso culturale e sociale. L’idea è quella che dopo l’emergenza segua una fase di progressivo ritorno alla normalità. Solo che se si riesce a fare un passo di lato rispetto all’emozione di quello che abbiamo vissuto finora, bisogna riconoscere che da dieci anni almeno noi in emergenza ci stavamo vivendo sempre. È cominciata con la crisi finanziaria, che ha creato l’emergenza sociale; poi c’è stata l’emergenza terrorismo islamico; poi quella — vera o supposta — sulla sicurezza; dopo ancora l’emergenza immigrazione. In mezzo, una serie di crisi «di stagione», dettate dall’emergenza idrogeologica, dei trasporti, dalla diffusione delle mafie economiche, dall’Europa, dalla disoccupazione, dai giovani…
Alla luce della pandemia, tutto questo noi lo chiamiamo «normalità»: la vita di prima, già assurta a mito da rimpiangere con malinconia.
E se fosse vero il contrario? E cioè che quello che abbiamo vissuto per anni, di normale non aveva niente e che invece il Covid 19 — con un prezzo altissimo di sofferenza e di morte — ci sta mostrando che il re è nudo? Forse per la prima volta, dopo anni di emergenzialità cronica, siamo costretti a fare dei piani per il futuro e non solo a rincorrere il presente. Solo se uno è costretto a fermarsi ha il tempo per chiedersi dove sta andando.
Vale per la nazione, per il Nord, per Bergamo ma anche, semplicemente, per ciascuno di noi.