Parla con il padre dopo dodici anni
Lei vive a Gazzaniga. Il padre, di Curno, ricoverato in Germania
Non parlava con suo padre da 12 anni. La figlia l’ha risentito quando l’uomo, in gravi condizioni in Germania, si è svegliato dopo un mese di sedazione. «Ora possiamo ripartire».
Il sussurro al telefono scavalcava un abisso di 950 chilometri e dodici anni. Da un ospedale tedesco le è arrivata la voce, fiaccata dal virus, di suo padre appena risvegliato da un mese di coma farmacologico, una voce che non sentiva da tanto tempo. «È stato un momento molto bello e molto emozionante», dice ancora commossa Stefania Facoetti. Suo padre Claudio è da fine marzo ricoverato nella terapia intensiva di Bochum, nella regione tedesca della Ruhr. Erano stati i suoi vicini a capire che l’uomo, 65 anni, ex insegnante di ginnastica alle medie di Calcinate, era malato. Il 19 marzo si sono accorti che da qualche giorno non lo vedevano, hanno suonato alla porta e quando se li è trovati davanti è svenuto. «I carabinieri mi hanno avvisato che era stato portato alla Gavazzeni — racconta Stefania Facoetti, 38 anni, che vive a
Orezzo di Gazzaniga con il marito e i figli di 2, 4 e 8 anni —. Mi hanno spiegato che era molto grave, tanto che lo avevano quasi subito intubato: mi hanno sempre tenuta informata». A fine marzo i venti dell’epidemia spiravano feroci, gli ospedali avevano bisogno di spazio, e si decide di trasferire il paziente in Germania. «In un primo momento mi sono spaventata anche perché non avevo ancora sentito parlare di trasferimenti all’estero, avevo paura di perdere i contatti e di non sapere più niente». Ma non è stato così, anche quando il 28 marzo il pensionato, intubato e in coma farmacologico, viene spostato al St Josef Hospital a Bochum. «In quell’ospedale lavora una dottoressa italiana, che ogni giorno mi chiamava per aggiornarmi, a volte mio padre migliorava e altre peggiorava, mi diceva tutto con chiarezza. Ogni giorno mi chiamava il console italiano nella regione. Ero angosciata ma non mi sono mai sentita abbandonata».
La dottoressa Ines Siglienti, neurologa milanese che vive in Germania da 18 anni, aveva anche pensato a una speciale accoglienza per quando Claudio Facoetti si sarebbe svegliato: «La città è vicina a Dortmund e là ormai conoscono bene l’Atalanta. Visto che papà è bergamasco gli infermieri volevano mettere una bandiera nerazzurra in camera ma la dottoressa prima si è informata da me e le ho spiegato che mio padre è juventino».
La settimana scorsa è iniziato il risveglio, molto graduale, dalla sedazione: «Le condizioni sono buone, tanto che si pensa di spostarlo in un reparto di degenza anche se è ancora molto debole. Lo dico con prudenza: abbiamo sentito molte storie di ricadute, e in Val Seriana abbiamo tutti amici o conoscenti colpiti dal virus».
Da dodici anni padre e figlia non si vedevano e non si sentivano, conseguenze di una separazione complicata. «Ma mia madre ha sempre voluto essere informata — spiega la donna —. Alla fine io e papà siamo riusciti a parlarci per la prima volta dopo tanto tempo. Sono state solo poche parole ma è stato bellissimo. Ho capito che tante cose si fanno per orgoglio o per risentimento, e non ne vale la pena. A volte bisogna toccare il fondo per ricominciare. Di fronte a tante famiglie distrutte dal virus, noi siamo stati risparmiati, è un miracolo. Voglio vederlo come un segno per ricostruire una vita e un rapporto, e per consentirgli di fare il papà a me e il nonno ai miei figli».