Il calcio in cassa integrazione «Io, giocatore di serie C rimasto senza stipendio»
Riccardo Colombo della Pro Patria: è un limbo devastante
VARESE «Da bambino il sogno era diventare calciatore. E una volta avveratosi, l’ultima delle preoccupazioni era lo stipendio alla fine del mese». La vita è andata così fino a marzo per Riccardo Colombo, capitano della Pro Patria di Busto Arsizio, squadra di serie C. Colombo è uno dei tanti calciatori che hanno imparato fare i conti col momento di burrasca attraversato dai club. Ma la sua non è un’attesa dorata come quella delle star della serie A, forti di contratti milionari. Colombo è un lavoratore del pallone, con un ingaggio annuo sotto ai 50 mila euro (lordi). Significa uno stipendio mensile di 2.700 euro, ora messo in forse dal coronavirus che ha fermato tutto. «Per questo c’è una richiesta inoltrata dalla Federazione al governo per ottenere la cassa integrazione in deroga dedicata ai giocatori che rientrano in questa soglia. Incrociamo le dita», spiega il direttore sportivo della squadra Sandro Turotti. Proprio così: cassa integrazione per i calciatori. «È un fatto storico, mai avvenuto prima», racconta capitan Colombo, 37 anni che ne ha viste tante dopo l’inizio della sua carriera proprio nella Pro, a vent’anni. «Un tempo c’era minore consapevolezza nel pensare a un “piano B“al termine dall’attività professionistica, mentre oggi il clima è diverso, e le nuove leve lo sanno». Su questo l’esterno destro dei biancoblu è stato lungimirante. Ha investito in un’attività parallela, «Vintana Milano», marchio di occhiali che sfrutta la filiera produttiva del made in Italy. «A differenza di molti altri concorrenti riusciamo comunque a produrre perché i fornitori sono italiani e non hanno materie prime ferme all’estero. Ma in questo momento chi ha i soldi non vuole spenderli», racconta il giocatore dalla sua casa di Fagnano Olona.
Giovanili in zona, poi una carriera trascorsa tra le luci della ribalta e il calcio minore di provincia. Con la «Pro», nel 2001, vince il campionato dell’allora serie C2. Un trampolino di lancio che lo porta prima all’Albinoleffe in serie B dove rimane cinque anni. Poi, nel 2006, l’approdo in serie A con l’Udinese e il passaggio al Torino. Poi il ritorno in B con una girandola di maglie: Triestina,
Reggina, Novara, Cittadella e Salernitana. Alla fine sono tornato a casa», ricorda Colombo dopo gli allenamenti in casa e i piccoli lavoretti domestici durante l’isolamento, senza la compagna trasferitasi a Mantova per motivi famigliari. Colombo oggi vive nel limbo fra l’ultimo stipendio arrivato e l’attesa di capire che ne sarà della sua vita sul fronte economico. «Mai avrei pensato di dover sperare nella cassa integrazione, che immaginavo sempre come qualcosa di alieno al mondo del calcio».
Ora le giornate si mischiano fra allenamenti casalinghi, l’orto da curare, e la spesa da fare per agli anziani genitori, oltre al volontariato: «Ieri consegna delle mascherine in giro per il paese, con la Protezione civile». E poi il pensiero ai tifosi. «Mi manca tantissimo lo stadio, le grida, i cori. Credo che il calcio manchi a tutti, anche a chi non lo segue perché è qualcosa che riempie radio e tv, le domeniche e i giorni della settimana che si caricano di attesa. Ma sono ottimista e non solo sul piano economico. Spero di poter tornare presto ad abbracciare i miei compagni e chi vuole bene a questo sport».
❞ Monte ingaggi A questi livelli guadagniamo meno di 50 mila euro lordi. Molti non hanno un piano B