Giustizia e Covid, i nodi al pettine L’assenza di letteratura medica sul virus complicherà le inchieste. Il tema della mancata «zona rossa»
Un’«operazione verità» sarebbe utilissima anche nel nostro Paese, per capire che cosa ha funzionato e cosa no: la ricerca degli «errori» consegnerebbe un lascito di esperienza e un patrimonio conoscitivo da utilizzare in futuro
Saranno le immagini di Bergamo a costituire la rappresentazione di che cosa è successo in Italia nella primavera 2020. Una sciagura, il coronavirus, su cui serve un’«operazione verità» per capire che cosa non ha funzionato e che cosa ha funzionato, così da lasciare un patrimonio conoscitivo. Più complesso è il fronte delle indagini, a partire dalla ricerca delle responsabilità penali nelle scelte politiche, come la mancata zona rossa della bassa Valseriana. Non sarà semplicissimo arrivare a condanne per lesioni ed omicidi colposi, perché il giudizio deve basarsi sul «senno del prima», cioè le conoscenze a disposizione nel momento delle decisioni. Gli operatori sanitari si sono mossi in assenza di letteratura medica. Più percorribili le cause civili, dove l’onere della prova si inverte, e le cause di lavoro.
La ragionevole aspettativa che il peggio di questa pandemia sia ormai alle nostre spalle, la voglia — e la necessità — di riprendere una vita normale, e persino la complicità del periodo estivo faranno abbassare in breve tempo le luci dei riflettori della cronaca sulla autentica sciagura sanitaria che si è abbattuta nel mondo intero, e che tuttavia ha colpito la nostra provincia — nei suoi affetti e nelle sue relazioni sociali ed economiche — come nessun altro territorio: persino nei simboli — la triste processione di autocarri militari — saranno proprio le immagini di Bergamo a costituire la rappresentazione visiva di quanto accaduto in Italia nella primavera 2020.
In probabile contemporaneità, si apriranno le riflessioni sul come, sul perché, sui meccanismi di diffusione del virus, sugli errori che si potevano evitare, e su quelli — penso ad esempio alle terapie, che sappiamo essere state via via aggiustate e rese molto più efficaci, grazie ad un contemporaneo e spasmodico impegno di ricerca e di sperimentazione — che hanno costituito il prezzo da pagare nel contrasto ad uno tsunami ancora troppo sconosciuto nelle sue caratteristiche.
Nell’ambito della Organizzazione Mondiale della Sanità oltre cento Paesi stanno invocando un’indagine indipendente, che permetta di ricostruire in dettaglio «che cosa» è successo, a partire dal «contagiato 1»: la si considera strumento necessario per essere preparati per una eventuale seconda volta. Ma non se ne farà niente, perché il retropensiero di tanti «cercatori di verità» è piuttosto quello dei «cercatori di responsabilità» , da giocare sul piatto della bilancia dei poteri mondiali in una logica di amici/nemici piuttosto che di vero/falso.
Operazione verità
Un’«operazione verità» sarebbe utilissima anche nel nostro Paese, per capire che cosa non ha funzionato (nel protocollo sanitario, ma anche nella organizzazione del sistema di salute pubblica e nel coordinamento dei centri decisionali; nei comportamenti sociali suggeriti, e in quelli vietati), e che cosa invece ha funzionato, anche nel confronto tra realtà interne, e con le realtà straniere comparabili; la ricerca degli «errori» — compresi quelli non immediatamente percepibili: e penso al drammatico intasamento del 112, numero di emergenza unico, quando ogni problematica Covid avrebbe dovuto fin dall’inizio essere dirottata solo su altre linee — consegnerebbe un lascito di esperienza, e un patrimonio conoscitivo da utilizzare in futuro. Ma si tratta di una prospettiva ancora più utopistica, perché l’indagine sarebbe immediatamente stornata verso la ricerca delle «colpe», più pagante in termini politici, di immagine e — perché no ? — economici. Sarebbe già difficile trovare scienziati, sociologi e giuristi non legati a nessuna parrocchia: ma quello che manca in partenza è la disponibilità culturale di chi è stato protagonista di questa vicenda, il cui mantra — salvo pochissime eccezioni — sembra essere quello del «rifarei esattamente le cose che ho fatto», sintomatico della volontà di non cedere neppure un centimetro agli «avversari».
E dunque saranno i giudici i protagonisti di questa grande operazione «nodi al pettine» : hanno già iniziato le Procure di mezza Italia (e di mezza Europa: in Francia sono sotto indagine i responsabili di gran parte delle case di riposo, che hanno visto un’ecatombe di decessi con numeri persino più elevati dei pur tristissimi nostri), focalizzandosi sugli ospedali e sulle comunità residenziali , cui si aggiungeranno — immagino, su specifica sollecitazione dei familiari — le inchieste su decessi e malattie avvenuti in casa.
❞ Sembra che si consideri impraticabile una ricerca di possibili responsabilità penali collegate a scelte politiche come quelle sulla mancata «zona rossa» nella bassa Valseriana
Le responsabilità penali
È ragionevole ipotizzare che lo spettro iniziale delle indagini sia molto ampio: è vero — e qui parliamo dell’ambito bergamasco — che sembra che si consideri impraticabile una ricerca di possibili responsabilità penali collegate a scelte politiche come quelle sulla mancata «zona rossa» nella bassa Valseriana (così come sarebbe impraticabile valutare — in termini penalistici — i «tempi» e i «contenuti» dei provvedimenti emessi da Governo, Regioni ed Enti locali, pur potendosene statisticamente apprezzare il contributo causale positivo o negativo nel fronteggiare la diffusione epidemica), ma ritengo probabile che — almeno in prima battuta — una qualche riflessione verrà fatta anche sulla incidenza causale del «modello organizzativo» (compresa la dotazione e la ripartizione tra pubblico e privato, tra stabilimenti ospedalieri e medicina di territorio, etc), delle direttive emanate a più livelli e rivelatesi obiettivamente sbagliate (il mantenimento delle attività diurne «esterne» delle Rsa; la difficoltà, anche psicologica, alla immediata e totale chiusura ai familiari; l’utilizzo delle stesse Rsa — peraltro realizzato in pochi casi — per il trattamento di malati post-acuti; l’incertezza sull’onere di dotazioni di protezioni adeguate al personale assistenziale e sul loro uso tassativo; e così via).
Il «senno di prima»
Ma credo che — al termine delle attività di indagine, e comunque del vaglio giudiziale definitivo — non sarà semplicissimo arrivare a condanne per omicidio e lesioni colpose, perché non soltanto l’Accusa dovrebbe dimostrare un rapporto causale ragionevolmente certo tra questi «difetti di impostazione» e ciascun singolo evento luttuoso, ma perché il giudizio dovrebbe essere sempre e rigorosamente basato su quello che mi permetto banalmente di definire il «senno di prima» : ricordiamo infatti che è con riferimento a quella situazione (e non al «senno di poi») che deve essere valutata la «colpa» dell’operatore — esattamente da individuare anche in relazione alla specificità delle sue attribuzioni — ed ogni giudizio di «imperizia, imprudenza o negligenza» dovrà essere rapportato al livello complessivo delle conoscenze disponibili al momento delle decisioni.
Ombre cinesi
Tanto per intenderci, non va dimenticato che nell’opinione scientifica corrente il Covid-19 era un fatto cinese; andava ricercato ed affrontato solo in soggetti che avevano avuto a che fare con quel Paese; e ancora il 18 febbraio (due giorni prima di Codogno) il Comitato scientifico del Centro Europeo per il Controllo della Malattie (Ecdc) si riuniva in Stoccolma e dichiarava «basso» il rischio che l’ epidemia cinese si diffondesse anche in Europa . Adesso sappiamo molte più cose, sappiamo che il virus circolava da qualche mese, che troppe polmoniti avevano una causa diversa e specifica, e dunque che il sistema sanitario avrebbe dovuto assumere ben altra ed attrezzata posizione di allerta e di difesa: «adesso», però : e ciò che sappiamo adesso, non può essere addebitato a chi verrà giudicato sulla base di ciò che poteva sapere «allora».
L’assenza di letteratura medica
A questo si deve aggiungere — e qui scendiamo dai livelli di responsabilità organizzativi e gestionali a quelli più spiccatamente e direttamente terapeutici — che l’elaborazione giurisprudenziale in materia di responsabilità medica ne indica come presupposto la violazione (comunque, per colpa) di protocolli e linee guida consolidati: mantenendo ovviamente il discorso in termini generali (e fermo il possibile diverso accertamento di singole situazioni particolari), credo francamente che sarà molto difficile recuperare responsabilità penali — per giunta, da attribuire personalmente a ciascun sanitario intervenuto — per operatori che si sono sostanzialmente mossi in assenza di una letteratura e di una casistica consolidate, dove tutto era «da inventare», non solo nei modelli terapeutici, ma persino nei protocolli di ricezione, di os
❞ Serve un rapporto causale ragionevolmente certo tra questi «difetti di impostazione» e il singolo lutto ❞ Non sarà semplicissimo arrivare a condanne per omicidio e lesioni colpose ❞ Gli operatori sanitari si sono mossi in assenza di una letteratura e di una casistica consolidate
servazione, di sanificazione e di distanziamento, per giunta condizionati dai limiti fisici di strutture evidentemente non concepite per un numero così elevato di pazienti da trattare in contemporanea.
La Giustizia Civile
Il discorso si farà invece molto diverso sul piano civilistico, e cioè sul piano del risarcimento del danno, dal momento che l’esistenza di un rapporto contrattuale con la struttura sanitaria o assistenziale consente al «danneggiato» di rovesciare l’onere della prova, imponendo alla struttura stessa di dimostrare che la morte o la malattia — che tecnicamente costituiscono inadempimento della concordata prestazione di cura e/o tutela della salute — sono dipesi da causa ad essa non imputabile : e se questa prova non viene raggiunta in termini convincenti, la struttura è tenuta al risarcimento.
Class action
In questa logica, è ormai ragionevole attendersi che si muovano anche azioni collettive (le cosiddette class action), di cui si comincia già a sentire il rumore di armi che si affilano: sull’esito finale di queste cause peserà ovviamente l’atteggiamento complessivo che sarà assunto dalla giurisdizione civile, con orientamenti che potrebbero anche risentire di diverse sensibilità sociali, essendo ipocrita nascondersi che questa non è materia dove due più due fa sempre e soltanto quattro… ; è facile ipotizzare che i «grandi tribunali» (Milano, Roma, Napoli, etc) rivedano o rielaborino quelle tabelle risarcitorie del danno alla persona che fanno ormai da diritto vivente; è persino possibile che — a fronte di un fenomeno così imponente sul piano quantitativo — possa essere lo stesso Legislatore, come ha già fatto in materia di infortunistica stradale, ad intervenire con qualche prescrizione valida per tutti .
Il Giudice del Lavoro
Uno spazio particolare sarà poi riservato al Giudice del Lavoro per eventuali azioni risarcitorie avviate da chi si è ammalato «in occasione di lavoro» , a partire ovviamente dagli operatori sanitari : è noto che l’Inail ha espressamente riconosciuto come conseguente ad «infortunio» la malattia contratta per infezione da Covid 19, e questo dovrebbe sgombrare il campo da tante possibili controversie (che sarebbero comunque «vincenti» per il lavoratore, grazie ad una consolidata interpretazione che attribuisce al virus il carattere di causa violenta ed immediata che porta a definire l’«infortunio» indennizzabile rispetto alla «malattia» normalmente non indennizzabile ). Va ricordato che l’assicurazione obbligatoria copre infortuni anche non addebitabili a responsabilità del datore di lavoro, e avvenuti per caso fortuito o per imprudenza dello stesso infortunato: il datore di lavoro è chiamato a rispondere solo in caso di violazione del dovere giuridico di protezione psicofisica del dipendente, che gli possa tuttavia essere attribuita a specifico titolo di colpa (anche in questo caso, con quel «senno di prima» accennato in precedenza), o per infrazione di specifiche norme (fra le quali certamente rientrano anche i protocolli anti-Covid, al cui rispetto è attualmente condizionata la stessa possibilità di esercizio dell’impresa).
«Scudo penale» impraticabile
È noto che da parte datoriale si sta insistendo con una richiesta di intervento legislativo: escluso che possa mirare a costituire una sorta di «scudo penale» , costituzionalmente impraticabile, ritengo che l’iniziativa abbia il significato — in prevenzione rispetto a possibili allargamenti» di qualche Procura — di far mettere «nero su bianco» che una responsabilità per coronavirus contratto dal dipendente possa nascere solo dalla violazione dei protocolli regolamentari, senza cioè che qualcuno provi ad ipotizzare — ad esempio — che già da una certa data critica si «doveva capire» di far lavorare con le mascherine, o distanziati , o previa verifica dello stato non febbrile, e così via…
Le contravvenzioni alle ordinanze
Fra i nodi che arriveranno al pettine dei giudici ci saranno ovviamente anche le «contravvenzioni» alle ordinanze governative e regionali rilevate dagli organi di polizia. Dove è stata inoltrata una denuncia penale per articolo 650 codice penale («inosservanza di un provvedimento dell’Autorità») o per articolo 452 codice penale («epidemia colposa»), credo di non essere cattivo profeta ipotizzando che si risolva quasi tutto in una bolla di sapone : l’articolo 650 è strutturalmente concepito per l’inosservanza di uno specifico ordine specificamente rivolto a qualcuno, e — salvo il «fattore spauracchio», che può anche avere funzionato… — non si adatta alla violazione di una prescrizione regolamentare generalizzata; quanto al reato di epidemia (minacciato ad esempio per la violazione dell’obbligo di quarantena), occorre nientemeno la dimostrazione di avere effettivamente contagiato qualcuno, non bastando il semplice fatto di avere rappresentato un pericolo di contagio : e dunque…
Fantasia contro zelo poliziesco
Per quanto riguarda invece le sanzioni amministrative, occorrerà vedere quanti saranno quelli che avranno avuto tempo, voglia e disponibilità — psicologica e materiale — di affrontare il Giudice di Pace per sottrarsi al pagamento di qualche centinaio di migliaia di euro ( nei casi più gravi): saranno udienze civili, e mancherà dunque al pubblico — e alla cronaca — la curiosità di vedere se avrà prevalso la fantasiosità delle giustificazioni offerte dai reprobi, o lo zelo poliziesco che ha portato persino all’esibito utilizzo dei droni per esplorare i boschi e le montagne allo scopo di «beccare» il solitario — quanto inoffensivo — camminatore incallito. E occorrerà vedere se i Giudici di pace decideranno di mettersi in una logica di guerra, sanzionando — senza andare troppo per il sottile — chi si era sottratto ai suoi doveri civici in un momento tanto delicato e vissuto come difficile per tutti; ovvero se vorranno ricamare in diritto, non solo approfondendo le specifiche circostanze dell’infrazione, ma affrontando in radice il problema della validità stessa di tutto l’impianto della legislazione di emergenza, dubitata di illegittimità costituzionale da studiosi autorevolissimi, che sostengono che alcune «limitazioni» non riguarderebbero la «libertà di circolazione» ( articolo 16 della Costituzione) comprimibile per ragioni sanitarie, ma la stessa «libertà personale» (articolo 13 della Costituzione) circondata da ben altre e rafforzate garanzie di inviolabilità.
Danni da Coronavirus
Il panorama dei possibili nodi al pettine giudiziario sembrerebbe finire qui, ma stiamo dimenticando che — almeno in astratto — esiste anche il tema dei danni (puramente) economici da coronavirus: in questo campo è difficile fare previsioni (abbiamo visto che fine hanno fatto, proprio in questa materia, le previsioni degli Scienziati con la s maiuscola: e dunque figuriamoci che cosa potrà essere imbastito dai giuristi), ma può già essere segnalato che lunedì 21 dicembre, avanti il tribunale di Belluno, sarà celebrata la prima udienza della causa civile per risarcimento dei danni avviata dallo storico Hotel de la Poste di Cortina d’Ampezzo e dal Distretto Turistico della medesima località nei confronti del Ministero della Sanità della Repubblica Popolare Cinese, accusato di diffusione epidemica, mancata segnalazione tempestiva, mancata trasparenza, etc, e dunque «madre di tutti i virus», compresi quelli che si sono accaniti e si accaniranno contro il turismo dolomitico, ed il correlato prossimo sogno olimpico.
Ogni previsione sul senso e sull’esito di questa iniziativa — che già forse non è la sola, e che è facile ipotizzare che venga seguita da altre iniziative analoghe: non costano quasi niente, e fanno pubblicità — non credo tuttavia che tocchi al giurista: cercasi dunque cartomante, astenersi perditempo.
❞ Nelle cause civili, sul piano del risarcimento del danno, toccherà alla struttura sanitaria dimostrare che la morte o la malattia sono dipese da causa ad essa non imputabile