«Film che insegna a trovare il tempo per osservare»
A ciascuno il suo cinema, Rodeschini (Carrara) commenta «Ritratto della giovane in fiamme»
«Per soluzione estetica, questo film è una meraviglia. Dimostra una fortissima cultura d’immagine, ogni inquadratura sembra un dipinto. Guardandolo, mi sono venute in mente le opere di Chardin». Scelta azzeccata proporre «Ritratto della giovane in fiamme» — il film più «pittorico» della stagione — al giudizio critico di Maria Cristina Rodeschini. Il direttore dell’Accademia Carrara ha lo sguardo allenato, per riscontrare quanto sia «allenato lo sguardo della regista», la francese Céline Sciamma. E malgrado giudichi la narrazione «un po’ fragile. Si capisce subito dove vuole andare a parare (in Francia, nel XVIII secolo, la storia d’amore tra una giovane nobile e la pittrice incaricata di farle un ritratto, ndr)», Rodeschini è «contenta di averlo visto» e commentato per il
Dopo l’uscita in sala lo scorso dicembre, «Ritratto della giovane in fiamme» è ora disponibile sulle principali piattaforme streaming. Fra i tanti riconoscimenti, quello alla migliore sceneggiatura al Festival di Cannes 2019. Lo script da premio non ha lasciato indifferente il direttore Rodeschini. «Mi sono annotata questa frase, secondo me bellissima: “Prendetevi il tempo per guardare”. Lo dice l’artista protagonista, alle sue allieve». Spiega: «L’arte sollecita a soffermarsi, a osservare con attenzione. Dietro ogni immagine, c’è spesso un mondo da comprendere». Monito per lo spettatore, che fruisce l’opera. Chi la crea invece deve avere «immaginazione. È fondamentale — continua Rodeschini —. I ritratti più fantasmatici, ad esempio, scardinano il rapporto con la realtà. Occorre che si venga a creare un equilibrio tra l’indipendenza dell’artista e il soggetto da ritrarre. Penso alle opere di un grande pittore come Lucian Freud».
In caso di autoritratto poi, la relazione diventa quasi psicoanalitica (e Lucian, nipote di Sigmund Freud, non è citato a caso). È un autoritratto di Rembrandt il «capolavoro assoluto» che Rodeschini ha chiesto e ottenuto in prestito dal Rijksmuseum di Amsterdam,
per «la primavera del 2021, probabilmente. Abbiamo tutto pronto. Doveva essere a Bergamo già quest’anno. Ma il coronavirus ci costringe al rinvio». Colpo in canna, l’ennesimo, di una direzione energica («non presto il “San Sebastiano”, alla splendida mostra romana su Raffaello. Sarebbe un bel gesto, ma è una delle nostre meraviglie e ce la teniamo. Nessuno sgarbo»), tenace e guerriera, «il Rijks ci proponeva un’opera quasi di seconda scelta. Ma io volevo un Rembrandt magico, pazzesco», consapevole «ogni decisione deve rientrare in una cornice, con motivazioni di natura culturale», dai prestigiosi e consolidati legami.
Come quello, sotto gli occhi del mondo, con il Metropolitan Museum di New York, che prolunga per tutta estate la sosta a Bergamo de «I musici» di Caravaggio. Un dolcissimo spettacolo «ospitato nella sala 19 della Carrara, quella degli artisti caravaggeschi».
Continua Rodeschini: la decisione del Met, ancora chiuso per l’emergenza, «dimostra una profonda integrazione. Se nelle attività commerciali vige la concorrenza in quelle culturali ci sono alleanze, fondate sulla qualità del lavoro. Considero questo assetto come una specie di bussola. Altrimenti saremmo barche in preda alle correnti».
La regista Sciamma e le sue interpreti (le ottime Adèle Haenel e Noémie Merlant) hanno anche proposto un cinema civile, femminile e femminista. Idealmente contemporaneo. Malgrado sia in costume, ambientato nel Settecento. Del ruolo che riveste, la direttrice Rodeschini è «molto orgogliosa. Ma come persona. È il mio lavoro, il discorso di genere non mi interessa — riflette —. Però, ogni tanto ci penso (ride)». Pensa anche a «una possibile integrazione. Un rapporto tra il museo e il cinema, che è cultura d’immagine in movimento. Ci si potrebbe lavorare».
La direttrice «L’arte sollecita sempre a soffermarsi, dietro ogni immagine c’è un mondo»