«Plasma, utile avere scorte Ma centri da potenziare»
La direttrice di Medicina trasfusionale del Papa Giovanni «La raccolta serve in questi mesi, c’è ricchezza di anticorpi Sperimentazione nazionale, ci saremo anche noi»
Plasma di pazienti guariti dal Covid-19 per i pazienti ancora malati. Per ora, la sperimentazione coinvolge quindici riceventi e 130 donatori. Anna Falanga è la direttrice di Medicina Trasfusionale: «Si sono ripresi fino alle dimissioni», dice. Ma l’utilità, spiega, è anche nella prospettiva di un’altra ondata: «Una scorta sarebbe utile, se arrivasse una nuova epidemia. Ma i mesi in cui abbiamo ricchezza di anticorpi sono questi. I donatori sono molti, bisogna lavorarci e per farlo servirebbe potenziare i centri trasfusionali».
Pochi mesi, questi. I pazienti guariti dal Covid-19 hanno ancora molti anticorpi e possono donare il plasma a chi è malato. Il tempo stringe, anche nella prospettiva di una scorta, nel caso di un ritorno dell’epidemia. Anna Falanga è direttore dell’Unità di Immunoematologia e Medicina trasfusionale dell’Asst Papa Giovanni e del dipartimento interaziendale di Medicina trasfusionale ed Ematologia della provincia di Bergamo, e si sta occupando della sperimentazione.
L’utilizzo del plasma è collaudato, quale è la differenza della sperimentazione sui pazienti Covid-19?
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«Il plasma viene utilizzato moltissimo in medicina, in diverse situazioni cliniche. È la parte liquida del sangue, può essere donata insieme al sangue o separatamente. La differenza è che, in questo caso, è plasma che proviene da pazienti guariti dal Covid-19 e contiene molti anticorpi: lo studio ha lo scopo di vedere se il trasferimento passivo di questi anticorpi ad una persona che deve combattere il virus può rappresentare un’arma efficace».
In commissione Affari sociali della Camera ha parlato di pazienti guariti ma che ancora hanno problemi, anche a 35 – 40 anni.
«Nelle persone guarite, talora viene riferita la persistenza di un senso di stanchezza, dolori ossei, dispnea anche dopo sforzi relativamente semplici. Spesso sono persone che prima di contrarre il virus praticavano attività fisiche in montagna o in bicicletta senza problemi».
È un altro «mistero» del Covid-19?
«Non è un fenomeno nuovo in assoluto, ma è la prima volta che abbiamo modo di osservare le conseguenze di questo virus del quale dobbiamo ancora conoscere ed imparare molto».
Eppure questi donatori «affaticati» sono guariti.
«Si, questi donatori sono guariti, per essere arruolati non devono avere più segni di malattia e devono aver smesso le cure da almeno due settimane, inoltre devono aver avuto due tamponi negativi consecutivi a distanza di uno o due giorni l’uno dall’altro».
Ma donare il plasma può essere dannoso per loro?
«No, la donazione di plasma è assolutamente sicura: consiste in un prelievo di circa 600 ml dalla vena del braccio, non ci sono effetti particolari. Il donatore comunque riceve un certificato per poter stare a casa dal lavoro».
Quanti donatori avete ? «Considerando le donazioni già effettuate, incluse quelle presso i centri trasfusionali degli ospedali di Seriate e di Treviglio, come dipartimento interaziendale abbiamo circa centotrenta donatori. Ma la lista dei volontari che ci hanno contattato è ancora lunghissima».
Quanti sono i pazienti riceventi e quali sgli effetti?
«Finora circa quindici pazienti, che avevano ancora problemi respiratori, hanno ricevuto il trattamento con plasma iperimmune da convalescente. Osserviamo che con questa terapia sono andati meglio, si sono ripresi fino ad essere dimessi. É incoraggiante. Tutti gli studi pubblicati finora, inoltre, hanno riportato che la somministrazione di plasma iperimmune è sicura e non crea intolleranze e problemi al ricevente».
Si può dire che funzioni? «La sperimentazione, però, non è completa. Per fare studi
evidence based bisognerebbe procedere in modo randomizzato. Cioè, avere un braccio di controllo che non riceve il trattamento con il plasma. Questo tipo di studio partirà a livello nazionale a breve e noi ci agganceremo».
Con meno malati, la sperimentazione è in prospettiva di una nuova epidemia?
«Anche. È molto vantaggioso avere una riserva, utile se dovesse arrivare una nuova epidemia».
Allora serve più plasma. «Per intensificare la scorta bisogna potenziare le strutture trasfusionali che sono certificate per questo lavoro e lo eseguono quotidianamente sul sangue donato e su tutti i suoi componenti, incluso il plasma, per renderli idonei ad essere utilizzati nei pazienti. La tecnologia e la professionalità necessarie sono esattamente le stesse per il plasma iperimmune. Si tratta solo di far funzionare questi centri con due o tre marce in più, per i prossimi mesi, intensificando le risorse e consentendo di decuplicare il lavoro».
Servono anche più donatori per avere una scorta?
«A Bergamo non abbiamo bisogno di sollecitare le donazioni. Come abbiamo sollevato la richiesta, hanno risposto in tantissimi. Abbiamo lunghe liste di chi vuole donare. Poi, non tutti potranno essere idonei, ma la visita si farà».
La cura funziona, i donatori ci sono, la scorta può essere utile: è un peccato non poter fare di più, indipendentemente dalla volontà.
«Visita, prelievi, rivedere chi può donare, prelievo del plasma, analisi. Come dicevo, i passaggi sono numerosi. Ma è in questi mesi che bisogna lavorarci, perché c’è ricchezza di disponibilità di anticorpi. I centri trasfusionali funzionano, ci siamo tutti riaccreditati per avere alti standard di sicurezza, serve solo incrementare le risorse umane e gli spazi per questi mesi».
Allora, per capirsi, è corretto dire che i guariti dal Covid-19 avranno ricchezza di anticorpi ancora solo per poco tempo?
«Se il lavoro si potesse frazionare chiamando qualcuno ora, qualcuno dopo l’estate, qualcuno a Natale, potremmo procedere con calma. Ma i mesi da “sfruttare” sono questi».
Vogliamo vedere se gli anticorpi trasferiti dai guariti ai malati siano un’arma efficace contro il Covid-19 Donare è sicuro
Tantissimi sono disponibili , ma servono diversi passaggi tra visite, prelievi e analisi Anna Falanga Direttore Medicina trasfusionale
Gli ex pazienti «Alcuni guariti sentono ancora stanchezza e faticano a respirare, anche a 35-40 anni»