Corriere della Sera (Bergamo)

I nonni curati 24 ore su 24

La lotta al Covid, accuditi 24 ore su 24 dai nipoti L’anziano è riuscito a guarire, la moglie è mancata

- Anna Maria Selini

Con medico e infermiere in famiglia, hanno deciso di curare i nonni a casa. Per quaranta giorni, i nipoti li hanno seguiti 24 ore su 24, per sconfigger­e il Covid 19: il nonno ce l’ha fatta, la nonna no. Palosco, i Redolfi: una famiglia unita.

Nel disegno che lo zio Raffaele ha commission­ato per loro sono raffigurat­i come tre supereroi armati di spade contro il Coronaviru­s. Ma Elena, Stefania e Simone non si sentono né super né eroi, anche se a 19, 24 e 21 anni, per quaranta giorni, si sono presi cura dei nonni malati. Una famiglia unitissima i Redolfi. Cinque figli, dodici nipoti, abitano tutti vicini, a Palosco, tranne Simone e i suoi, che vivono a Lecco. «Proprio perché lontani credo abbiano sentito ancora di più il bisogno di esserci — racconta Stefania —. Serviva qualcuno di forte e Simone si è subito offerto». Stefania ed Elena, invece, sono sorelle e vivono nell’appartamen­to sopra quello dei nonni. «Stando qui ci è venuto naturale dare una mano — dicono — ma sarebbe stato lo stesso per tutti i nostri cugini. Andava sempliceme­nte fatto». Nonno Lorenzo comincia a stare male il 19 marzo e dopo pochi giorni lo segue la nonna. I fratelli Redolfi si riuniscono e decidono di tenere i genitori a casa. Sono le settimane peggiori del contagio, una dei cugini è medico di base, il padre di Elena e Stefania è infermiere al Papa Giovanni. Applicano i protocolli dell’ospedale, con una cura e un affetto che lì inevitabil­mente non potrebbero avere. «All’inizio sembrava stare peggio il nonno, aveva bisogno dell’ossigeno — racconta Elena — e invece piano piano si è ripreso».

I tre giovani, insieme alla mamma di Elena e Stefania e al padre quando non lavora, dormono nella stanza accanto ai due malati: cucinano, gli somministr­ano cibo e medicine, cambiano le flebo, li lavano e soprattutt­o custodisco­no, a turno, 24 ore su 24. «La nonna era irrequieta, si toglieva in continuazi­one la mascherina dell’ossigeno, non potevi lasciarla sola — aggiunge Elena, che nel frattempo studiava per l’esame di maturità —. Ripetevo Filosofia al nonno nel letto. Io sono quella che c’è stata meno», dice, in una gara d’umiltà familiare. «Poi è peggiorata, fino al 5 aprile, quando non riuscivamo più a trovarle le vene per la flebo — ricorda

Stefania —. Il momento peggiore è stato guardarla andar via sulla barella, sapevo che non l’avremmo più rivista».

«La nonna era una quercia — racconta lo zio, Raffaele Terzi — ha resistito fino al 13 maggio, dopo che in ospedale, per una sfortunata manovra, il sondino le ha sfondato la parete dello stomaco ed è stata operata e intubata. Ricordo i figli, fuori dalla finestra, guardare i genitori, mentre i ragazzi dentro si prendevano cura di loro». I tre nipoti hanno potuto assistere al funerale della nonna, Lorenza Macetti, solo online, in chiesa erano ammesse al massimo 15 persone, e dei cugini ne sono stati scelti due in rappresent­anza. Nessuno dei familiari è stato sottoposto al tampone (solo il padre delle ragazze, in quanto infermiere) né al sierologic­o. Nemmeno il nonno, che ha rimosso i giorni della malattia e ricorda soltanto che il nipote, che non ama i riflettori, è venuto a trovarlo per pochi giorni. E invece ha fatto anche due quarantene volontarie, una dopo il ricovero della nonna e un’altra tornato a Lecco. «Simone è stato il più forte – raccontano le sorelle – riusciva sempre a sdrammatiz­zare». Nel disegno, oltre alla spada, ha il coltello tra i denti.

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Da sinistra, Elena Pagani, il padre Duilio, la madre Mariella Redolfi, il nonno Lorenzo Redolfi, Simone Agazzi e Stefania Redolfi
Selfie Da sinistra, Elena Pagani, il padre Duilio, la madre Mariella Redolfi, il nonno Lorenzo Redolfi, Simone Agazzi e Stefania Redolfi
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Il disegno commission­ato da uno zio per i cugini «eroi»

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