Giannino Sessa I vetri del Duomo parlano al cuore
Avvocato e poeta, scrisse un’opera in versi sulle storie narrate nell’abside della cattedrale
«La vitta l’è on regall. Gh’em de tegnilla / preziosa d’ora in ora, de dì en dì, / per pareggià vertu a milla, a milla, / de soffegall el maa». La vita è un dono da aver caro d’ora in ora, di giorno in giorno, per coltivare mille virtù, tanto da soffocare il male. Al di là della traduzione approssimata, questa è la chiusa di un libro dimenticato, «Invedriad del Domm», uscito nel 1932. Al tempo stesso è la filosofia di un uomo schietto, perbene, religioso e mai bigotto.
L’uomo, l’autore, è Giannino
Sessa (18761950), avvocato per professione e poeta vernacolare per passione, una via dedicata al quartiere Barona. Il testo, che capiti tra le mani per caso o lo si cerchi scientemente online, è una lettura toccante, credenti o no: quel che non si capisce del vocabolario milanese s’intuisce col cuore. Partiamo
dall’inizio. Fin da piccolo il poeta, che abitava in piazzetta Borromeo, terzo di tredici fratelli, frequentava il Duomo, incantato dalla luce del sole che attraverso i vetri colorati crea una sorta di mosaico arcobaleno. Da marito e padre di 10 figli, trasferitosi in via Sant’Antonio, si concedeva il piacere, come racconta lui stesso nei primi versi del libro, di ascoltare l’organo in Cattedrale seduto «in d’on canton», davanti alle vetrate istoriate del Quattrocento che chiudono i finestroni dell’abside. Dai ricordi d’infanzia alla
Terzo di 13 fratelli Da buon musicista amava sedersi «in d’on canton» per ascoltare l’organo
maturità, le storie sacre narrate da quelle immagini multicolori si trasfigurano in ispirazione poetica: l’Antico e il Nuovo Testamento diventano nel testo del ’32 straordinarie rime in milanese.
«Non sono “bosinate”, rime bozzettistiche. Sono rime alte», commenta il nipote Adalberto Sessa, classe 1938, che coltiva i ricordi della famiglia e del nonno. «Si sente che per lui gli episodi della storia cristiana hanno valore autentico, si calano nella realtà della vita». Dalla creazione all’ubriachezza di Noè, da Sansone a Davide e Golia, al messaggio morale che non manca mai si intrecciano arguzia, ironia, riferimenti al presente. E poi la Natività, le Nozze di Cana, l’Adultera, le parabole: anche il Vangelo rivive in milanese, popolare e nobile insieme, con toni delicati e malinconici.
Del resto il meneghino, che oggi abbiamo dimenticato, era lingua parlata non solo degli umili ma anche della buona borghesia cui apparteneva il poeta. Che, continua il nipote, era un uomo brillante, di spirito e di compagnia: anima delle attività culturali della Famiglia Meneghina fin dalla fondazione, consigliere della Società del Quartetto, intenditore di musica, buon pianista. «Alto, asciutto, viso scarno. Ho vissuto con lui durante la guerra, sfollati a Cartabbia, sobborgo di Varese. Ma allora la vedovanza e le difficoltà economiche del momento lo avevano amareggiato, intristendo il suo buon carattere».
In tutto Sessa ha pubblicato 12 volumi di poesie dialettali, trovando i suoi temi chiave nella famiglia, nella fede, nella visione sociale aperta e a volte critica, nelle umane vicende vissute in tribunale. La scenografia di fondo però resta una e una sola: la sua amatissima Milano.