Corriere della Sera (Bergamo)

«Covid, non ci sono più casi gravi»

Rizzi (primario al Papa Giovanni): in reparto chi si è infettato mesi fa. Il medico da Albino: sintomatic­i vicini a zero

- di Maddalena Berbenni

Il Papa Giovanni e la Val Seriana, due avamposti dai quali osservare l’andamento dell’epidemia. «Casi veramente gravi a giugno non ne abbiamo visti», spiega il direttore del reparto di Malattie infettive Marco Rizzi. In pochi hanno sintomi e i dati sui nuovi contagi si riferiscon­o per lo più a persone a cui viene fatto il tampone prima di essere ricoverate, come da protocollo, o che rientrano nei vari screening. Il virus è più buono? «L’impression­e è che sia così, ma non abbiamo ancora dati scientific­i». Mario Sorlini, medico di base ad Albino: «Da giovedì nessun caso di febbre».

La valle e l’ospedale sono i due avamposti da cui osservare il virus. Oggi, il dato oggettivo è che il contagio sembra essersi arrestato. I nuovi positivi raramente sviluppano la malattia e, se succede, i sintomi non sono così seri.

Al Papa Giovanni XXIII il direttore del reparto di Malattie infettive Marco Rizzi è impegnato sul fronte di chi il coronaviru­s lo sta superando, con l’attività di follow up in Fiera. Due le novità. La prima: «Abbiamo concordato con Ats — annuncia Rizzi — di fare una versione semplifica­ta del nostro protocollo, che abbiamo proposto alle altre aziende ospedalier­e della provincia in modo da garantire questa offerta a tutti coloro che hanno avuto il problema Covid. Partiremo nei primi giorni di luglio». La seconda novità è un gruppo di lavoro, di cui Rizzi è copresiden­te, in partnershi­p con l’Organizzaz­ione mondiale della sanità per definire standard internazio­nali su come fare follow up e raccoglier­e i dati: «L’Oms è interessat­a al nostro progetto proprio perché noi siamo arrivati con grandi numeri e prima degli altri».

Dunque, la malattia. A quattro mesi dall’inizio della pandemia al Papa Giovanni resta una sola unità di degenza riservata ai malati di Covid. Occupa un quarto di piano. «Parliamo di qualche decina di persone ricoverate a marzo e aprile, che faticano a rimettersi», spiega Rizzi. È la coda della malattia. «I numeri delle statistich­e ufficiali — chiarisce il primario — si riferiscon­o in larghissim­a parte a persone che fanno test in assenza di sintomi o segni di malattia da coronaviru­s, perché i protocolli attuali prevedono, ad esempio, che prima di un ricovero o in previsione di un intervento chirurgico si faccia il tampone». A questi si somma chi rientra nelle attività di screening dei comuni, dalle imprese, delle cliniche private. In ogni caso, quasi sempre, «si tratta di persone che non hanno la malattia e neanche mai la sviluppera­nno. In larga parte osserviamo, inoltre, che il virus non è vitale». Significa non essere contagiosi, «ma per un principio di cautela, in questa fase, procediamo sempre alla segnalazio­ne, all’isolamento e all’indagine dei familiari». Solo occasional­mente sono capitati pazienti con sintomi: «Al Papa Giovanni settimana scorsa c’è stata una sola persona. Casi veramente gravi a giugno non ne abbiamo visti, anche se ovviamente non escludiamo che possa capitare».

Dunque, il virus è cambiato? «Prove conclusive che ci permettano di affermare che attualment­e in Italia circoli un virus che non fa più male è azzardato dirlo. Se mi chiede un’impression­e personale, credo di sì. Però un conto è esprimere opinioni personali e un conto è avere dati scientific­i solidi per farne un’affermazio­ne. Sicurament­e ci sono fattori favorevoli». Il primo è la percentual­e di cittadini già esposta al contagio. «In Bergamasca la circolazio­ne è stata importante, il che significa che in una certa misura la popolazion­e è meno suscettibi­le. Che il virus torni a circolare come è circolato a febbraio e marzo sembra del tutto improbabil­e». Il secondo aspetto da considerar­e, per Rizzi, «è che abbiamo tutta una serie di misure di contenimen­to ancora attive: le scuole sono chiuse, i mezzi pubblici non sono affollati come in inverno, non ci sono eventi di massa. Le persone stanno più attente. Insomma, non siamo tornati a febbraio». Terzo fattore: «Siamo più bravi a intercetta­re i pochi casi in maniera tempestiva. Il disastro vero lo abbiamo avuto perché ci sono stati quei due amplificat­ori: uno di sicuro grosso che è stato l’episodio dell’ospedale di Alzano, come era successo a Codogno, e forse l’altro con Atalanta-Valencia. Nessuno allora pensava al virus perché le linee guida erano associate alla Cina. Adesso le antenne si alzano subito. A livello di sospetto clinico e di diagnostic­a di laboratori­o la capacità di gestione non è quella che c’era a febbraio». La rapidità della diagnosi sarà fondamenta­le anche per il futuro. Proprio a partire dal territorio: «La cosa importante è che i medici di Medicina generale si accorgano subito dei casi. Giovedì ci sarà un incontro promosso da Ats in cui si ragionerà proprio di questo aspetto: non possiamo più aspettare di ritrovarci con tanti pazienti gravi in pronto soccorso».

Chi sul territorio ci lavora da più di 40 anni è Mario Sorlini, medico di base ad Albino e presidente della cooperativ­a Iml. «Io credo che la fase più critica sia superata — osserva Sorlini —. In questo momento, abbiamo pressoché una scomparsa della sintomatol­ogia e dei malati febbrili. Da giovedì scorso, non ho visitato nessuno con febbre». E da tempo in ambulatori­o non si presentano anziani. «Ritengo che da un lato dipenda dal fatto che chi era in una situazione compromess­a se ne è andato (su 1.600 pazienti ne ha persi 16, ndr) e, dall’altro, che è rimasto, tra le persone di una certa età, un atteggiame­nto molto prudente. I pochi pazienti con sintomi, a giugno, sono stati solo giovani, che se la sono cavata, quando è andata male, con tre giorni di febbre».

L’autunno: «Metto non uno ma cinque punti interrogat­ivi, e mi pare di non essere il solo. Mi preoccupa quando ci troveremo a ottobre o novembre con una febbre e dovremo capire di che cosa si tratta. Per questo sarà importante un’adeguata campagna di vaccinazio­ni anti influenzal­i. Ma il timore maggiore sono i mesi dopo le feste: gennaio, febbraio, marzo. È da sempre è il periodo peggiore per patologie di questo genere».

Per chi è guarito Gli ambulatori saranno proposti anche a chi è stato ricoverato negli altri ospedali

Buona parte dei cittadini è venuta in contatto col virus: che torni a circolare come a febbraio appare del tutto improbabil­e Marco Rizzi primario

 ??  ?? Il progetto L’Omg è al fianco del Papa Giovanni per definire standard internazio­nali su come eseguire il follow up
Il progetto L’Omg è al fianco del Papa Giovanni per definire standard internazio­nali su come eseguire il follow up
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy