L’Esercito a Nembro Non più bare ma banchi per la scuola
Le consegne ad Alzano e Nembro: strada troppo ripida per l’Alberghiero, sono arrivati i soldati con i camion
I camion dell’Esercito hanno invaso Nembro ieri mattina presto. E se nei mesi scorsi quei mezzi dai colori mimetici avevano significato morte, ieri hanno portato la rinascita consegnando i primi 220 banchi inviati dal ministero dell’Istruzione. Ad accoglierli con gli occhi lucidi, la dirigente dell’Alberghiero, che ha già studiato misure e collocazioni dei nuovi arredi: «Non ci siamo praticamente mai fermati, tanti alunni hanno pianto i loro cari e ora non vediamo l’ora di ripartire».
Il pullman dell’Esercito lascia l’oratorio San Filippo Neri scortato dai carabinieri e i nembresi che in un tranquillo venerdì agostano sciamano in piazza tra la farmacia, la banca e il bar lo seguono con uno sguardo pieno di domande. L’Esercito a Nembro. Perché? Che succede ancora? Non molti sanno che i militari hanno appena scaricato da un tir i banchi monoposto destinati alla sezione distaccata dell’Istituto Alberghiero Sonzogni e che, tempo mezzora, saranno alla sede della scuola per l’ultima consegna di giornata. Il tir fin lassù, in via Bellini, non si può inerpicare e per far arrivare quei 220 banchi inviati dal Ministero dell’Istruzione, oltre a Nembro anche nei due paesi più colpiti dal demonio del virus, Alzano e Codogno (per un totale di circa 500 banchi e un centinaio di sedie) si utilizzeranno i camion verdi dell’Esercito.
I mezzi, gli stessi immortalati in quella foto che resterà un monumento alla memoria della pandemia, restano posteggiati in attesa del trasbordo dei banchi dal bilico, vicino al distributore di benzina di Viana, tra Nembro e Alzano, sotto gli occhi di chi passa e ancora non capisce che cosa stia succedendo. L’Esercito, i camion, le bare. L’associazione di pensiero triangola così, rapida e implacabile, senza contemplare nessuna opzione alternativa. Che, invece, c’è. Non è morte, ma è vita, stavolta. Lo ricorda con gli occhi velati e una commozione che fatica a non tradursi in pianto, la dirigente scolastica dell’Alberghiero, Louise Valerie Sage. Sangue inglese nelle vene, già insegnante di biologia, emblema di una verve e di una passione non comune per il ruolo che ricopre, manda avanti da tre anni, con uno staff di 50 collaboratori e un centinaio di professori, un istituto che conta 700 studenti. «Dove non ci siamo praticamente mai fermati, dove tanti alunni hanno pianto i loro cari, ma dove non vediamo l’ora di ripartire». Dalla borsa estrae una decina di piantine e fogli Excel in cui minuziosamente sono riportate le dotazioni di ciascuna aula. Dalla ricognizione sono stati stralciati tutti i banchi non più conformi, simulate tutte le distanze («un metro dalle rime buccali — modo burocratico per dire da bocca a bocca, ndr —, 60 centimetri per il corridoio e 2 metri di distanza tra il docente e l’allievo»), tenuti per buoni molti altri banchi e sedie «perché non possiamo pensare di far sedere ragazzi di un metro e ottanta in uno spazio troppo stretto». I suoi pensieri, in una vigilia convulsa e complicata per tutto il sistema scolastico, sono tutti per loro,i ragazzi, per quel modo tutto particolare di fare scuola che impone un Alberghiero. Dove ci si muove, si simula la vita di un hotel o di un esercizio pubblico; le brigate di cucina, il personale di sala, la reception, il bar. L’imperativo, mentre in sottofondo arrivano i rumori di cantiere della nuova aula di microbiologia, sarà quello, prosegue Sage, di «mantenere le distanze e di fare scuola in presenza anche con qualche aggiustamento logistico». Ad esempio, utilizzando la palestra come aula grazie alla prossima dotazione in arrivo. «Abbiamo ordinato una novantina di postazioni con le rotelle, ci serviranno per quello, ma più in generale abbiamo fatto uno sforzo importante nella digitalizzazione delle attività».
È un fiume in piena, la dirigente, mentre racconta i mesi difficili preconizzando un futuro incerto, ma non per questo meno entusiasmante. «I banchi che ci stanno per consegnare sono un tassello, ma denotano attenzione al nostro territorio da parte di Roma», conclude mentre dalla curva della strada spunta un primo mezzo. Poi un secondo e un terzo. Sulla scuola cala una cappa di silenzio. È la vista di quei mezzi che riporta alla memoria il lungo corteo delle bare. E da quel 19 marzo è passato troppo poco tempo. Lì, sotto quei teloni dove i nostri morti hanno compiuto l’ultimo viaggio sono impilati i banchi che i militari scaricano in modo ordinato. Semplici banchi, ma che tutti accarezzano con lo sguardo accompagnando i gesti sicuri dei militari. Sage sospira: «Ci studieranno sopra i nostri ragazzi, il nostro futuro, la nostra vita».