L’infermiera ritrovata
L’incontro per caso con Angelo Santori, fratello del maestro Bruno «Ero io che ti davo l’acqua quando eri ricoverato in ospedale»
Un giorno sei seduto in gelateria in cerca di una difficile normalità, di questi tempi. Una donna si avvicina timidamente e ti chiede: «Sei tu?». Non l’ha mai vista o comunque non te la ricordi. Puoi pensare di tutto, a una vecchia conoscenza o a una social amica. Ma mai quello che lunedì scopre Angelo Santori, 67 anni, fratello del direttore d’orchestra Bruno, in quel momento con lui e con la loro madre ai tavolini a Dalmine.
«Sì, sono io. Cosa posso fare per lei?», le sorride senza immaginarsi che di lì a pochi secondi sarebbe stato catapultato a quattro mesi prima, alla Cpap e alle settimane in ospedale con il Covid da cui è uscito senza quasi crederci nemmeno lui. Soprattutto, a quel gesto quotidiano tanto semplice quanto fondamentale. Lei ha gli occhi colmi di lacrime e lascia andare l’emozione che nella trincea ospedaliera ha dovuto trattenere. «Sono l’infermiera che ti portava da bere quando eri ricoverato», gli dice.
Non l’avrebbe mai riconosciuta. Non solo per mascherina e visiera ma per quanto stava male.Il fratello Bruno scatta loro una foto e lui di slancio la posta su Facebook, per riconoscenza: «Grazie a te angelo che ti sei occupata di me e di molti altri. Tutti dovrebbero sapere quanto avete fatto e con quale dedizione». É scorrendo i 133 commenti (e 1.100 like) che si accorge di una dimenticanza: «Travolti dalle emozioni di quel momento, non ci siamo scambiati il numero di telefono — racconta —. Sono riuscito a risalire a lei, al suo nome e al suo cellulare grazie a una persona che ha commentato perché la conosce». In questa storia, i casi della vita non sono finiti. Perché Santori scopre anche che sono stati vicini di casa, a Dalmine. Lui non si è mosso, lei ha cambiato abitazione. No, niente nome. L’infermiera conferma la discrezione che, non fosse stato per la zia che era con lei, lunedì l’avrebbe trattenuta dall’avvicinarsi a Santori. Dice di aver solo fatto il proprio dovere, come migliaia di colleghi. Non vuole visibilità, le è bastato l’incontro ch , però, con i social è sfuggito dai confini privati.
A Santori ha permesso di dare un nome e un volto a quell’unico ricordo nitido tra gli altri nebulosi: «Ho ancora nettissima quella sensazione delle mucose della bocca secchissime, come asfaltate. Mi hanno spiegato che era l’ossigeno ad asciugarla. Ricordo che l’infermiera veniva con una bottiglietta e una cannuccia per darmi da bere. Ecco, in quel momento era il momento migliore che potessi vivere». Era al policlinico San Marco di Zingonia, in quel momento. «Dopo una settimana di febbre, dall’8 marzo, che con la Tachipirina scendeva ma risaliva, ho misurato la saturazione: era 81 — ripercorre Santori —. Abbiamo chiamato l’ambulanza». L’incubo per lui come molti altri pazienti è stato il casco dell’ossigeno, però la salvezza: «Ma me lo strappavo, non lo sopportavo». Poi il trasferimento a Brescia: «Arrivato lì, la saturazione era 61. Mi hanno dato la morfina per farmi tenere la Cpap. E mi hanno somministrato il farmaco in quel momento sperimentale.
Guarito «Se ci siamo scordati di questi angeli? Impossibile, per chi li ha incontrati»
In due giorni mi sono ripreso. Il 16 aprile sono tornato a casa». Infermieri come angeli, quanto se n’è parlato. «Se ci siamo già dimenticati di loro? Impossibile, per chi ha vissuto quello che hanno fatto».