«Il disegno lucido e feroce di Chiara»
Delitto di Gorlago, le motivazioni del giudice: Alessandri accecata da desiderio di vendetta
Nella vita ha avuto momenti bui, ma non è una donna fragile. Anzi, nelle motivazioni della condanna a 30 anni di carcere, Chiara Alessandri
è una donna che non si è mai ravveduta e che, accecata dal desiderio di vendetta, ha eseguito «con ferocia» il suo piano per uccidere Stefania Crotti, la rivale in amore.
La morte del padre quando era una bambina e del fratello tossicodipendente qualche anno più tardi. Gli insuccessi scolastici. I problemi di salute dell’ex marito e dell’ultima figlia. La vita di Chiara Alessandri è stata segnata da non poche vicissitudini. Ma nell’esaminarne la personalità il giudice per l’udienza preliminare di Brescia, Alberto Pavan, arriva alla conclusione che fosse tutto fuorché una donna fragile. Il medico che l’aveva avuta in cura non aveva riferito particolari patologie, per gli amici era una tosta, abituata a reagire alle avversità e a gestire ogni aspetto della vita familiare. Nelle motivazioni alla sentenza del 18 giugno cade così anche quel briciolo di attenuante che, per quanto possibile, avrebbe potuto restituire un volto un po’ meno spietato all’amante di Gorlago, 45 anni, 30 da scontare in carcere per l’omicidio di Stefania
Crotti, la cui unica colpa è stata quella di rivolere il marito con sé. Stefano Del Bello aveva avuto una relazione con Alessandri nell’estate del 2018. Mesi prima del delitto del 17 gennaio 2019, che dunque, per il giudice, «non può ritenersi l’effetto di uno stato transeunte», cioè passeggero. Piuttosto, l’imputata, «accecata da desiderio di vendetta nei confronti della donna ritenuta responsabile dell’allontanamento dell’amato Del Bello, ha covato per considerevole lasso di tempo un proposito omicida di soppressione della rivale in amore». Stefania, insiste il gup sul nodo dibattuto della premeditazione, riconosciuta, era «un ostacolo» da eliminare. Per farlo Alessandri ha messo in atto un disegno «deliberato con ferocia nei minimi particolari» senza un definitivo, reale ravvedimento. Difendendosi «strenuamente» anche a processo e continuando a negare, ad esempio, di avere cosparso di benzina e dato fuoco alla vittima, da parte di Alessandri, sempre secondo il giudice, «sono mancati sia un contegno confessorio, sia una resipiscenza per quanto commesso, sia una revisione critica, sia infine un contatto di solidarietà nei confronti dei parenti della vittima».
Nel suo risiko tragicamente perfetto, il piano orchestrato è noto. Separata, madre di tre figli, dopo la fine della storia con Del Bello, l’imputata non si dava pace. «Lo vuoi esibire solo come un trofeo, non sei innamorata, sei falsa», aveva scritto in un’occasione a Stefania, lei madre di una bambina che oggi ha 8 anni. A inizio 2019, archiviate le feste, aveva contattato l’amico di Seriate Angelo Pezzotta. Agli atti c’è il testo di tre messaggi vocali. È lui a indicare ai carabinieri una pista che le celle telefonifurgone, che già iniziavano a indicare. Quando Stefania era scomparsa, il venerdì degli appelli su Facebook, l’aveva riconosciuta in fotografia ed era corso in caserma a raccontare la sua storia: il giorno precedente aveva portato quella donna nel garage di Alessandri su sua richiesta, per aiutarla a organizzarle una sorpresa, gli era stato detto, ideata dal marito. I vocali contengono le istruzioni di Alessandri. Pezzotta aveva avvicinato Stefania fuori dal lavoro, le aveva fatto capire che era il suo Stefano a mandarlo. Aveva una rosa rossa e un bigliettino romantico. La donna lo aveva seguito sul si era lasciata bendare gli occhi, si era tranquillizzata nel viaggio grazie ad alcune canzoni, anche quelle studiate a tavolino. Tutto era filato liscio e la consegna era avvenuta: «Una volta che entriamo io abbasso la saracinesca, tu fai manovra e vai», era stata l’indicazione seguita alla lettera. L’ultima immagine che resta a Pezzotta è quella dell’amica che con calma spinge Stefania nel box. I due, Pezzotta e Alessandri, si sono poi ritrovati nella sala d’aspetto di via delle Valli, con una cimice a registrare. Cercava un chiarimento con la moglie dell’uomo di cui era ancora innamorata, si era giustificata lei. «Io non esistevo più, come se non fossi mai esistita».
Dopo la versione della morte accidentale, per una spinta, a processo Alessandri ha aggiustato il tiro e ammesso le martellate, sostenendo però di essersi difesa da un’aggressione partita da Stefania. Il giudice non le crede e tra gli altri elementi evidenzia la testimonianza della badante di una casa vicina. Aveva sentito un urlo proveniente dall’esterno. L’aveva impressionata perché era durato molto, almeno un minuto, ed era passato da un tono di paura a un tono straziante. Per il giudice era Stefania e quello era l’ultimo grido alla fine di un agguato.