Viaggi e incanto Il libro della neve di Franco Brevini
Ad affascinarlo sono state le infinite narrazioni sulla neve, legate alla tradizione e allo spazio geografico di culture e popoli. Quel cristallo di ghiaccio, lineare e geometrico, lo ha colpito sin da ragazzino, quando undicenne leggeva i libri di Jack London. «Da allora mi affascinò il Grande Nord e feci uno strano giuramento. Mi dissi: Io, lì, ci andrò», racconta Franco Brevini. E nel 2000 gli capitò di seguire le tracce di London, percorrendo 700 chilometri con i cani da slitta nelle foreste di Buck e Zanna Bianca, sentendo sulla pelle il freddo prima solo immaginato. Critico letterario, docente universitario, alpinista e protagonista di viaggi d’esplorazione dal Polo Nord alla Groenlandia, dalla Siberia al Sud America, Brevini è il vincitore del premio Itas per «Il libro della neve», edito Il Mulino. «È un volume che non può mancare nella biblioteca — si legge nella motivazione —. Partendo dall’osservazione di un singolo fiocco, ci trascina in un viaggio affascinante, che spazia dal timore suscitato negli antichi dal “crudo verno” ai pattinatori raffigurati nei quadri fiamminghi, e dal senso del sublime che le Alpi innevate evocavano ai poeti romantici alla visione addomesticata che dei pendii imbiancati propongono i moderni comprensori sciistici».
Questo libro è una nuova esplorazione: per campo coperto di neve, la pagina bianca; per ramponi, corde e picozza, la letteratura e linguistica, la filosofia e sociologia, la storia delle culture. Lo scrittore parte dai ricordi di infanzia, scandita da risvegli ovattati, in una città avvolta dalla neve, per allargare l’orizzonte verso riflessioni e citazioni trasversali e colte che nobilitano la neve, «materia sfuggente, mutevole, che cambia già mentre scende dal cielo — nel testo —. Sfugge a ogni classificazione e certo non può essere liquidata come semplice acqua gelata. Fondendo al sole, parla della labilità e dell’effimero, ma, stratificandosi nei ghiacciai, serba la memoria di età remotissime. Scendendo dal cielo evoca la sensazione della leggerezza, ma una valanga primaverile che si abbatta su un villaggio lo schiaccia e lo distrugge con la sua umida pesantezza». In oltre trecento pagine, con illustrazioni, lo scrittore parla delle suggestioni provocate dalla neve, ripesca dall’incanto dell’infanzia, dalle allegorie che la evocano, come «l’epiteto omerico dalle bianche braccia per indicare la bellezza femminile di Nausicaa — spiega —. La neve indica anche la labilità della vita, con il suo sciogliersi al sole. Il mondo nevoso è un luogo minaccioso e di desolazione, come si legge in Frankenstein e Jack London, o nelle bufere di Tolstoj e della Montagna magica di Mann. Nel libro poi c’è la neve mortale degli Alpini nella sacca del Don, raccontata da Rigoni Stern e ripresa nel capitolo La guerra bianca. Ci sono la neve dell’avventura e dell’esplorazione polare, della pittura fiamminga e degli illuministi, gli animali e lo sci. La neve è un’infinita fonte di storie: sono gli uomini che l’hanno percorsa, calpestata e raccontata». Se Brevini dovesse raccontare ai figli uno dei suoi viaggi, vorrebbe trovarsi nel rifugio Casa rossa in Groenlandia, aperto dall’ex alpinista ed esploratore altoatesino Robert Peroni. Racconterebbe dei suoi incontri con gli inuit, che «i tre mi portarono un metro cubo di balena, dicendo di portarlo ai miei bambini», sorride ricordando l’aneddoto, seguito da un altro, l’incontro con la sciamana Gudrun. «Mi si avvicinò alla bocca come per baciarmi, aspirò l’aria dalle mie narici e disse: ha un buon odore, è una brava persona. Lo sciamanesimo groenlandese ha un grande fascino. È il mondo con cui affrontano la notte artica, sopravvivono a luoghi ostili».
La sciamana «Si avvicinò alla bocca, aspirò l’aria dalle mie narici e disse: è una brava persona»