«Mafioso». Muore dopo il digiuno
Condannato, Carmelo Caminiti protestava contro la detenzione per motivi di salute
Carmelo Caminiti, calabrese, era stato condannato a 12 anni per associazione mafiosa ed estorsione: secondo i carabinieri di Bergamo era implicato nella guerra nata dal rogo dei tir a Seriate. È morto in carcere a Messina: da più di tre mesi era in sciopero della fame contro la detenzione imposta dal tribunale di Brescia. «Le sue condizioni non erano compatibili con il carcere», sostiene il suo legale.
Era stato condannato a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa ed estorsioni con metodo mafioso: secondo la Direzione distrettuale antimafia di Brescia, competente anche sul territorio bergamasco, Carmelo Caminiti, calabrese di 59 anni, guidava quel gruppo di estorsori che, dopo il rogo di 14 tir alla Ppb di Seriate nel dicembre del 2015, fu assoldato dal proprietario di quell’azienda per mettere paura ai concorrenti e al presunto mandante del rogo: un altro calabrese, Giuseppe Papaleo, che gestiva una società nello stesso settore. Strade diverse: Caminiti condannato con rito abbreviato dal gup di Brescia a giugno, Papaleo, invece, tuttora imputato con rito ordinario di fronte al collegio di Bergamo (procedimento poi trasferito a Brescia a causa di carenza di spazi, quando è esplosa l’emergenza Covid). Papaleo attende le udienze, Caminiti invece è morto nella notte tra domenica e lunedì all’ospedale di Messina, dopo circa tre mesi di sciopero della fame nel carcere della stessa città, dove si trovava da marzo del 2019, quando erano scattate le misure cautelari dopo le indagini del nucleo investigativo dei carabinieri di Bergamo.
«Il punto è che, a prescindere dalla sentenza di giugno, già da tempo Caminiti protestava contro il regime carcerario che gli era stato imposto e che il tribunale di Brescia non aveva mai voluto revocare, nonostante avessimo presentato istanze con certificati chiari, che rendevano incompatibile le sue condizioni fisiche proprio con il carcere — commenta il suo avvocato Italo Palmara, che lo assisteva con il collega Giacomo Iaria —. C’era stata una serie di rigetti da parte del gip che poi l’ha giudicato in abbreviato, la dottoressa Elena Stefana. Poi, quando attorno a fine maggio aveva iniziato lo sciopero della fame, un altro rigetto era arrivato dal gip Lorenzo Benini. Ma le sue condizioni erano andate via via peggiorando e, solo quando era in una situazione grave in ospedale, il tribunale ha concesso la detenzione ospedaliera». Il legale fa notare che, per gli stessi motivi di salute, e nonostante fatti e reati contestati molto simili, «i tribunali di Firenze e di Reggio Calabria avevano concesso la detenzione domiciliare al mio assistito».
Lo sciopero della fame in carcere, a Messina, era iniziato una ventina di giorni prima della sentenza di primo grado (21 giugno), nonostante l’arresto di Caminiti risalisse all’11 marzo del 2019. «Aveva atteso l’esito delle istanze al tribunale di Brescia, che avevamo inoltrato a ripetizione — conclude il suo avvocato —. Anche il tribunale della Libertà aveva respinto la nostra richiesta, eravamo in attesa della Cassazione».