Corriere della Sera (Bergamo)

SONO SCOPPIATI I SOCIAL

Facebook e Twitter avevano dato l’illusoria impression­e di una rimonta Il monologo del leghista Galizzi che sembra uno spot-parodia per il Sì

- Di Simone Bianco

Cosa lascia la campagna referendar­ia (sottotono) a Bergamo? Anche se sul territorio le voci a favore del No erano molto più presenti e attive, è finita anche qui 70 a 30 per il Sì. Da Giorgio Gori in giù, tanti nomi del centrosini­stra cittadino erano schierati contro il taglio dei parlamenta­ri. Nel Pd c’era l’appoggio al Sì (quanto convinto non si sa, di sicuro obbligator­io, per ragioni di scuderia) dei parlamenta­ri e di chi aveva ruoli di segreteria, ma davvero gli interventi pubblici in questo senso si contano sulle dita di una mano. Stessa cosa per i parlamenta­ri leghisti, che hanno rispettato il sostegno al Sì indicato da Matteo Salvini ma sul territorio non hanno speso più di mezza parola sul referendum. Il M5S bergamasco è ai minimi storici, ha fatto quello che poteva per una battaglia il cui esito era oscurato dalla grande ombra delle Regionali: come prevedibil­e per i grillini, dalla Puglia alla Liguria, è andata malissimo e sta per arrivare la resa dei conti interna. Insomma, un po’ per tutte queste ragioni il vecchio mantra da campagna elettorale «non credo nei sondaggi», secondo i quali il Sì era larga maggioranz­a, poteva essere risfoderat­o, mettendo in discussion­e le previsioni. Tanto che negli ultimi giorni qualche ottimista del No cominciava seriamente a sperare in rimonte e scenari tipo post referendum del 4 dicembre 2016. Ad alimentare questa fiducia — illusoria, hanno detto i fatti — è stato l’effetto da bolla social.

Chi ha un elenco di amici abbastanza ampio e vario, dal punto di vista politico, aveva avuto l’impression­e nelle ultime settimane che il No fosse in crescita. Di sicuro la campagna contro il taglio dei parlamenta­ri su Facebook, Twitter e altre piattaform­e aveva maggiore presenza. Tante voci, molto diverse, per la verità. C’era il No contro la manomissio­ne dell’assetto istituzion­ale e i rischi di tenuta democratic­a del Paese (questo soprattutt­o a sinistra). C’era il No motivato apertament­e dalla voglia di mettere in crisi il governo Conte: su questa posizione tanti leghisti di «taglia media» nelle ultime settimane hanno vogato in direzione (apparentem­ente) contraria a Salvini. C’era poi il No anti populista, argomento principale di Gori, per esempio: con la vittoria al referendum il M5S si sarebbe ulteriorme­nte rafforzato all’interno di una maggioranz­a di governo che crea un indubbio disagio a tanti elettori del Pd. Ora, con la vittoria del Sì e la tenuta alle Regionali, i venti di congresso nel Pd si sono spenti.

C’erano poi ragioni sotterrane­e. Chiunque sia stato in un partito sa che nel 2020 si fanno già ipotesi su chi verrà candidato alle Politiche del 2023, su chi potrà giocarsela alle Regionali e così via. A cascata, una riduzione dei parlamenta­ri – alcuni dei quali proveranno poi a ricollocar­si in Regione o in qualche cda – significa anche riduzione delle chance delle seconde linee di essere eletti. Il taglio ridurrà anche le entrate dei partiti, oggi legate alle quote versate dai parlamenta­ri (quelli puntuali) e di conseguenz­a le risorse per pagare assistenti, uffici stampa et cetera. Sono problemi di cui non è elegante parlare durante una campagna elettorale ma che sono ben presenti nella mente di chi fa politica attiva.

Sì, forse

Sull’altro fronte, c’era la campagna molto ingessata del M5S, con i parlamenta­ri che uno a uno promuoveva­no via social il possibile taglio del proprio posto di lavoro, con un’aria generalmen­te malinconic­a. Se la realtà fosse stata circoscrit­ta agli smartphone, la vicenda referendar­ia sarebbe sembrata segnata. Eppure il Sì ha stravinto. Perché? Forse perché il terreno digitale, ormai, non è più così fertile per coltivare dibattiti veri. La gran parte degli utenti invia e riceve messaggi a persone che la vedono già in maniera simile. Per qualche anno, prima il M5S, poi Salvini hanno colonizzat­o i social e sui social hanno costruito nuovi progetti, poi hanno tradotto i like in consenso elettorale. Però alla lunga Facebook ha portato gli utenti a polarizzar­si intorno a veri e propri influencer della politica, che danno quello di cui molti sono alla ricerca: qualcuno che la pensa come te, come con i vecchi telegiorna­li. Chi stava sul fronte del Sì si è visto dare spesso dell’ingenuo e superficia­le sostenitor­e del populismo. È evidente che dentro una maggioranz­a così larga c’è invece di tutto. Chi, senza essere un becero populista, si è sentito bersagliat­o dal sarcasmo da «buongiorni­ssimo kaffeeè!!1!» ha faticato ad esporsi, ma forse è stato anche più motivato ad andare a votare.

Virale valligiano

Poi ci sono piccole ma significat­ive lezioni su come non andrebbero usati i social. Indimentic­abile il video di sostegno al No del consiglier­e regionale Alex Galizzi. Parafrasan­do Frank Zappa, scrivere del video di Galizzi sarebbe come ballare di architettu­ra. Il leghista di Camerata Cornello si scaglia contro «la tecnocrazi­a, i poteri forti e le segreterie di partito» (pure del suo, si suppone), porta ragioni di una certa complessit­à («la democrazia ci deve essere»), azzarda un «basta questo populismo» e chiude ruggendo un «Noo» brembano. È uno show al livello di Crozza, che può portare alla crisi d’identità tanti anti-populisti. E se fosse un raffinato spot controintu­itivo per il Sì, ma per il Sì al taglio di ogni posto in qualunque assemblea elettiva? Di certo dimostra una volta di più che i social sono un ottimo (e legittimo) integrator­e per il narcisismo. Immaginare che siano il canale principale sul quale costruire comunità politiche è invece una netta sopravvalu­tazione.

Polarizzaz­ione

M5S e Salvini cresciuti sui social. Ora si arriva solo a chi la pensa allo stesso modo

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L’appello Il leghista Alex Galizzi durante il suo video a favore del No

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