Nadia Fusini «Il bene e il male secondo María»
«María», un libro di poche pagine, intense. Attraverso la storia di una donna vittima di violenza domestica, testimone di un delitto e madre che riprende il figlio ripudiato dal padre, Nadia Fusini indaga il rapporto tra il bene e il male e il significato dell’amore. L’autrice, intervistata da Maria Tosca Finazzi, presenterà il libro, edito L’Arcipelago Einaudi (136 pagine), e tra i finalisti del Premio Nazionale di Narrativa Bergamo, domani alle 18, in diretta Instagram e sui canali social della manifestazione.
Il titolo riprende quello della protagonista, María. Perché ha scelto questo nome?
«È il nome più semplice e assoluto. Ed è quello di una scrittrice e filosofa che amo, María Zambrano».
È un personaggio di invenzione? «Molti anni fa avevo letto la notizia sul giornale e annotato un appunto nel mio quaderno. Anni dopo l’ho ritrovato e cominciato a scrivere in assoluta libertà dalla cronaca».
Nel racconto ci si chiede se questa donna sia una santa o una pazza. Chi è?
«Né santa né pazza, è una donna».
Attraverso la narrazione della confessione di un omicidio, si assiste alla mutazione di María: da ragazza diventa donna e soprattutto madre. Nella maternità sta la chiave di svolta della storia, perché, come lei scrive, l’amore materno va al di là del bene e del male. Questo è il tema di fondo?
«Sì, anche. María si salva perché deve salvare. In fondo la sua forza è non l’egoismo, ma l’altruismo».
Tre i personaggi principali: María, il poliziotto Santini e la dottoressa Vitale. Quale la funzione di ognuno?
«Santini è l’uomo che ha cuore e sa raccogliere l’esperienza di una donna sconosciuta. Così anche Vitale».
Tra le riflessioni anche quella dell’ingiustizia sociale: i poveri cristi sono vittime del male, ma al contempo il loro miracolo è avere speranza. Mette in evidenza luci e ombre del quotidiano per indurre il lettore a cogliere la meraviglia della vita?
«Esatto. La letteratura spesso ci richiama a questa meraviglia».
Usa spesso verbi legati ai sensi, come se volesse far sentire, vedere, toccare e far vivere quanto racconta.
«Sì lo è e in questo caso in particolare, visto che la protagonista è una donna semplice e sensuale. Ma i sensi hanno “intelligenza”. Direi che in letteratura la lingua dovrebbe sempre cercare questa plasticità».
La storia di María viene definita triste. Lo è, ma non solo. In fondo c’è la luce, come nel dipinto di copertina. Come la ridefinirebbe?
«Triste, perché si parla di vicende dolorose. Ma è anche una storia profonda e simbolica».
La narrativa è centrata sul mondo e punto di vista femminili. Questione di genere o c’è altro che la attrae alla e della donna?
«A me interessa l’intelligenza femminile. Più che il genere, mi attrae la differenza. E visto che la donna è senz’altro l’altro dell’uomo, mi affascina la sua esperienza del mondo, mondo che per molto tempo l’ha discriminata togliendole voce. Ma, forse, consentendole il punto di vista dell’outsider, come direbbe Woolf».
La protagonista «María si salva perché si deve salvare. La sua forza non è l’egoismo ma l’altruismo»
Origine «La storia prende spunto da un fatto di cronaca vera letto anni fa sul giornale»