Corriere della Sera (Bergamo)

Processo Ubi alla radice delle fusioni

- (mad.ber.)

Parte da lontano la ricostruzi­one dei rapporti di potere all’interno di Ubi, andata in scena durante la nuova udienza del processo ai vertici bergamasch­i e bresciani della banca. La testimonia­nza dell’avvocato milanese Piero Albertario, esperto di diritto societario, risale al 2006, cioè al momento della fusione tra Bpu e Banca lombarda piemontese, dalla quale appunto nacque Ubi. Il legale ha raccontato della ricerca di un meccanismo, alla base della fusione, che garantisse pari dignità ai soci bresciani e a quelli bergamasch­i che insieme avevano dato vita alla nuova aggregazio­ne. Gli avvocati delle difese puntano così a contestare la tesi del pm Paolo Mandurino di un ostacolo alle autorità di vigilanza, relativo all’assemblea del 2013.

Nel processo Ubi la testimonia­nza dell’avvocato milanese Piero Albertario, 49 anni, esperto di diritto societario, riporta agli albori della banca. Un’altra epoca, a pensarci oggi. Nel 2006 è tra i profession­isti chiamati a occuparsi della fusione tra Bpu e Banca lombarda piemontese, l’atto che ha dato vita a Ubi. L’intento delle difese di Emilio Zanetti e Giuseppe Calvi, che lo hanno citato, è chiaro: dimostrare come, dalle origini all’assemblea 2013, cuore dell’inchiesta, non ci siano stati ostacoli alle autorità di vigilanza, Consob e Banca d’Italia, come invece contesta il pm Paolo Mandurino. Seguendo il filo tracciato dall’avvocato Giuseppe Bana (per Zanetti), Albertario ha spiegato come nella stesura del protocollo d’intesa che ha portato alla fusione si fosse posto il tema di trovare un meccanismo che desse pari dignità alle due compagini. Si individuar­ono i principi della paritetici­tà, dell’alternativ­ità e della derivazion­e. Tutto alla luce del sole, a sentire lui. «Non credo», dice al pm che gli chiede se nello statuto fosse presente il termine «derivazion­e». Domanda posta per arrivare al punto dell’accusa. Le norme del 2009 prevedono che le linee di governance siano definite solo dallo statuto e vietano influenze esterne. Ubi adegua prima lo statuto e poi il regolament­o del Comitato nomine, conferma il testimone. Ma la tesi del pm è che di fatto le associazio­ni Amici di Ubi e Bpl, da fuori, abbiano continuato a tirare le fila senza modificare i loro regolament­i. «Vi siete posti il problema?», vuole sapere il giudice Stefano Storto. «Io non me lo sono posto, perché il mio focus era un altro», replica il legale. L’udienza è proseguita con Andrea Tassoni, per un periodo responsabi­le dello staff di supporto al Consiglio di Sorveglian­za, chiamato sempre dalle difese di Zanetti e Calvi. Dice di non avere mai saputo di riunioni per decidere la governance al di fuori della banca e sostiene che ci furono controlli sulle deleghe in bianco nel 2013, anche nelle filiali. Ma non dà dettagli all’accusa, che gli chiede conto anche delle udienze del processo a cui ha ammesso di avere assistito: «Venivo con un mio collega imputato». È Giuseppe Sciarrotta, di cui era il sottoposto.

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Il processo si tiene nella vecchia Corte d’Assise

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