«Scapin può aver tamponato per un errore alla guida»
Il giudice: aveva bevuto ed è credibile che fosse terrorizzato
«Può aver tamponato per un errore alla guida». È un passaggio delle motivazioni con cui il giudice Massimiliano Magliacani ha condannato a 6 anni e 8 mesi, per omicidio stradale (e non volontario come voleva la Procura), Matteo Scapin. Morirono Luca Carissimi e Matteo Ferrari.
Non vi è dubbio che fu Matteo Scapin a provocare la morte di Luca Carissimi e Matteo Ferrari. Fu lui stesso a chiamare il 112 una volta raggiunta la casa del nonno, a Bergamo, epilogo della tragica notte del 4 agosto 2019. Ma non ci sono le prove «al di là di ogni ragionevole dubbio», che l’imputato, 34 anni, di Curno, abbia intenzionalmente travolto le vittime. Non c’è una pistola puntata alla testa. Piuttosto, «gli indizi presentano una chiave di lettura alternativa del tutto plausibile e rispondente agli atti d’indagine». E la legge, in casi come questo, impone di privilegiare l’interpretazione più favorevole all’imputato. Lo scrive il gup Massimiliano Magliacani nelle motivazioni alla sentenza dell’11 settembre con la quale ha condannato Scapin a 6 anni e 8 mesi per omicidio stradale. Non per omicidio volontario, con i 18 anni chiesti dall’accusa.
In una serata che doveva essere di solo divertimento, in discoteca al Setai di Orio al Serio, Luca e Matteo, 21 e 18 anni, del quartiere di Borgo Palazzo, avevano avuto una discussione con l’imputato per avances che la fidanzata di quest’ultimo sosteneva di avere subito. La coppia si era poi allontanata in macchina, gli altri l’avevano raggiunta sulla stessa moto al semaforo della Cremasca, dove con un colpo di casco avevano spaccato il lunotto. Il danneggiamento e il desiderio di vendetta per la fidanzata avrebbero spinto a speronare gli amici. Una tesi che, in fase cautelare, ha superato il vaglio di Riesame e Cassazione. Il gup lo ricorda. Ma, appunto, c’è la «lettura alternativa» della difesa (avvocati Andrea Pezzotta e Riccardo Tropea), che troverebbe un «serio riscontro negli indizi».
Prima di tutto, il comportamento tenuto da Scapin, secondo il giudice, «dimostra un’indole docile ed esclude una personalità capace di vendicarsi dei torti subiti con gesti estremamente violenti e pericolosi». Il ragazzo non ha alzato le mani, ma, rileva il giudice, di fronte allo sfogo della fidanzata, si è limitato a chiamare i buttafuori. Ha poi atteso la chiusura e si è allontanato per andarsene a casa nonostante l’aggressione fisica subita nel parcheggio. Tutti atteggiamenti che deporrebbero «per una personalità matura e non violenta». È «ipotizzabile» anche che «possa essersi spaventato a tal punto da guidare in modo scorretto al fine di sottrarsi ad una grave e pericolosa aggressione». E questo per la lite, per il lunotto rotto, ma anche perché alle spalle della sua Mini c’erano un’auto e il motorino con gli amici di Luca e Matteo. È possibile, dunque, che si sia sentito inseguito.
Ricordato che Scapin guidava con un tasso alcolico significativo, il gup si sofferma sul perito chiamato dal Tribunale a ricostruire la dinamica dello schianto: «Non evidenzia nulla di particolare per poter pensare ad una volontarietà dell’inseguimento e del tamponamento, in quanto riferisce di un urto lieve tra i due veicoli e di una leggera deviazione a destra della marcia del veicolo». Aspetti su cui «concorda anche il consulente del pm», mentre la difesa sostiene «addirittura» che lo scarto a destra sia successivo all’impatto. In più l’urto sarebbe avvenuto tra la parte del’imputato stra dell’auto e mentre la moto era al centro della carreggiata. «Se questo è vero — osserva il gup — ne scaturisce un ulteriore elemento equivoco dell’interpretazione del dolo, perché non si vede per quale motivo l’imputato avrebbe dovuto spostarsi a destra per colpire il ciclomotore, se il ciclomotore già viaggiava al centro della corsia». Il fatto che la Vespa si sia spostata al centro della strada «avvalora ulteriormente il convincimento che il tamponamento sia avvenuto per un errore di guida dello Scapin, il quale, compromesso dall’abuso dell’alcol e terrorizzato, non riusciva ad avvistare in tempo» la moto.
Il giudice conclude con una riflessione sulle testimonianze della fidanzata di Scapin e degli amici delle vittime, opposte riguardo al dolo. Non ci sarebbero motivi per ritenere questi ultimi più credibili, «perché i due giovani hanno contribuito a generare il tragico sinistro stradale», inseguendo Scapin, e perché hanno negato di avere visto il lunotto infrangersi: «Condotta sintomatica della volontà di nascondere il vero», evidenzia il giudice. Ora, c’è da capire se la Procura farà appello. Lo valuterà, per i Carissimi, l’avvocato Francesca Longhi, secondo cui «tutto il processo è nel video proiettato in aula». Come a ribadire quanto sostenuto in udienza, che non fu un incidente.
La tesi del dolo Non c’è prova «al di là di ogni ragionevole dubbio» che l’imputato volesse uccidere